A Milano al Forum del Partito Democratico
Al Forum per l’Italia del PD a Milano.
La rete per veicolare le idee dal basso e non come mero strumento di propaganda dall’alto. Democrazia, partecipazione e rappresentanza
Al Forum per l’Italia del PD a Milano.
La rete per veicolare le idee dal basso e non come mero strumento di propaganda dall’alto. Democrazia, partecipazione e rappresentanza
Una delegazione del Comitato riminese che si è costituito in appoggio alla candidatura di Nicola Zingaretti a Segretario del PD, sta prendendo parte ai lavori di ‘Piazza Grande’, la due giorni organizzata da Zingaretti stesso, al fine di iniziare il grande lavoro di raccolta di contributi ed idee che dovranno accompagnare la stesura del suo programma.
Piazza Grande uno spazio plurale aperto dove si ascolta, dove si progetta e dove si vuole costruire l’alternativa di governo contro le derive autoritarie.
Non è un luogo che coincide con il PD, non è una mozione congressuale del Partito Democratico, ma l‘avvio di un percorso per la rigenerazione del paese e della sinistra tutta, un popolo che si rimette in cammino; che ovviamente passa anche per il congresso del PD.
Piazza grande vuole essere un momento ed un movimento popolare che parte dalle città, dalle idee, dai progetti e dalle passioni di chiunque vorrà mettersi in gioco insieme a noi e a Nicola Zingaretti.
L’obiettivo è quello non solo di cambiare il PD, ma anche di rigenerare un campo di forze sociali politiche e culturali, perché l’Italia in questi anni ha superato una crisi drammatica ma il Partito Democratico non è riuscito a tenere insieme una società coesa e solidale. Ora serve un nuovo patto per tornare a crescere garantendo l’equità, la giustizia sociale e il senso di umanità. Serve un nuovo patto per ridurre le disuguaglianze e restituire il futuro alle giovani generazioni.
Proprio tanti giovani sono stati tra i protagonisti della prima giornata, che ha visto la partecipazione di tanti di loro ai singoli tavoli tematici; uno di questi, quello dove si è ragionato nel merito dei temi relativi alla democrazia e alle nuove forme di partecipazione, è stato coordinato da me insieme ad amministratori locali e al Professore Mauro Calise.
Avviato a Rimini il percorso congressuale a sostegno della candidatura di Nicola Zingaretti a Segretario nazionale del Partito Democratico.
Nella serata di giovedì, insieme al coordinatore regionale Stefano Vaccari, si è dato vita al percorso di avvio che di fatto inizierà a Roma il 13 e 14 ottobre insieme a Zingaretti nell’appuntamento di ‘Piazza Grande’, al quale parteciperà anche una delegazione riminese.
In questi giorni stanno prendendo vita comitati a sostegno della candidatura di Nicola Zingaretti in ogni provincia e prossimamente anche a livello comunale potranno essere costituiti.
Coinvolgimento, apertura, dialogo e costruzione di una proposta politica e culturale alternativa. Questi sono i princìpi cardine sui quali si impronterà il lavoro a sostegno della candidatura.
L’obiettivo è quello di cambiare il PD, rigenerare un campo di forze sociali politiche e culturali e non quello di dare vita al solito circo del ‘chi sta con chi’ e ai giochini sui posizionamenti tattici: ci si sta perché ci si crede e non perché conviene.
L’Italia in questi anni ha superato una crisi drammatica ma il PD non è riuscito a tenere insieme una società coesa e solidale. Ora serve un nuovo patto per tornare a crescere garantendo l’equità, la giustizia sociale e il senso di umanità. Serve un nuovo patto per ridurre le disuguaglianze e restituire il futuro alle giovani generazioni.
Da oggi allo svolgimento dei congressi partirà un lavoro di coinvolgimento che cercherà di rivolgersi agli iscritti e ai militanti magari stanchi, delusi e demotivati, ma anche a coloro che silenziosamente si sono allontanati dalla vita politica del PD e che ora occorre ‘riconquistare’ sulla base di un nuovo rapporto tutto da costruire.,
A Roma in Piazza del Popolo. Una comunità di donne e uomini con l’orgoglio di ripartire per l’alternativa nel Paese. Un bravissimo Maurizio Martina, parole nette, radicalita’, umiltà e unità.
Se dovessi descrivere oggi come evolverà il comune destino degli Stati dell’Unione Europea e che lascito consegneremo alle future generazione esprimerei una grande preoccupazione.
L’Europa è oggi il vaso di coccio tra i grandi Continenti: Stati Uniti, Russia, Cina che determinano sul piano diplomatico i destini di questo pianeta, anteponendo i loro interessi sul piano politico, economico e sul piano dialettico internazionale a quelli dell’Europa e degli altri Paesi.
Noi non possiamo competere con tutto ciò ritornando all’epoca degli Stati nazionali in Europa. L’Europa che avevano immaginato Adenauer, De Gasperi, Spinelli, Monnet, Shuman, Bech, Spaak, ma anche Koll, Smith, Branth, Napolitano… come generazioni di politici con una visione di futuro, sembra oggi appannarsi e tramontare.
L’Europa è nata per definire un comune destino tra gli Stati fondatori e per abbattere muri, ad iniziare da quello di Berlino e per costruire un comune destino di pace dopo la fine della seconda guerra mondiale e dopo la caduta dei regimi totalitari dell’est Europa. Un’Europa che si è via via allargata ai Balcani e verso i Paesi dell’ex Blocco Sovietico. I trattati di Roma che istituivano la Comunità economica europea vengono firmati il 25 marzo 1957 e solo l’anno scorso abbiamo ricordato il ruolo politico dell’Italia in questo contesto internazionale.
Noi non vogliamo costruire per i più giovani l’Europa della paura, creando le condizioni per alcune forze politiche di aumentare il proprio bacino di voti e speculando sulle paure che vengono alimentate attraverso i social media e il mondo dell’informazione.
Oggi l’Italia sorretta dalla cosiddetta maggioranza giallo verde – tra cinque stelle e Lega- ma a traino leghista, sta allontanando l’Italia dall’Europa per avvicinarla ai Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) unitamente a Paesi come l’Austria e la Slovenia che stanno abbracciando il ritorno ad una politica egoista e sovranista che contraddice per se stessa l’esistenza dell’Unione Europea.
Basta ricordare che se diciamo che l’Italia non può accogliere tutti e chiediamo un riparto più equo delle quote migratorie tra tutti i Paesi Europei, superando l’accordo di Dublino per non relegare i flussi migratori del Mediterraneo ai Paesi del Sud Europa (Spagna, Italia e Grecia), al tempo stesso non possiamo stare con i Paesi del blocco di Visegrad che negano la ripartizione chiedendo all’Europa i fondi per il proprio sviluppo ma negando la solidarietà e la responsabilità nel fare la propria parte con tutti gli altri Paesi europei.
Il Ministro dell’interno deve chiarire se sta con Visegrad o se sta con l’Europa, non facendo la sceneggiata sui porti ma decidendo quale politica di accoglienza fare proprio per non tornare a ciò che fu la Lega di con Maroni Ministro degli interni nel Governo Berlusconi. Maroni che voleva affrontare il problema limitando i flussi e poi fece una maxi sanatoria. Ricordiamo inoltre che la legge che regola il fenomeno migratorio in Italia è ancora la “Bossi – Fini”.
Se il fenomeno migratorio lo si governa nella comune cooperazione tra gli Stati, beh allora non si possono aprire contemporaneamente fronti con la Germania, la Francia, la Spagna, la Tunisia, Malta, la Libia (da cui giungono oltre il 90% di migranti) …. Questo è il modo migliore di isolarsi per fare campagna elettorale sulla pelle dei migranti. Senza considerare la ricaduta negativa dell’Italia in termini di interessi economici e turistici con gli altri Paesi. Un Paese chiuso e arroccato non attrae investimenti, turisti e cooperazione tra gli Stati.
Non fermiamo il fenomeno migratorio con le mani o con i muri ma regolamentandolo insieme. Tutti i Governi di qualunque colore politico che si sono chiusi e isolati non hanno risolto alcun problema.
La storia dei popoli esiste grazie alle migrazioni. Basta guardare la storia degli Stati Uniti, della Francia insieme agli altri Paesi coloniali, ma oggi sta tornando paurosamente il concetto di razza.
Personalmente l’unica razza che conosco è quella umana e le Nazioni Unite affermano che prima del cittadino e dello Stato esiste la persona umana come portatore di diritti oltre che di doveri verso la comunità.
Non possiamo mescolare il fenomeno migratorio con il fenomeno sociale a quello securitario, mescolandone confusamente i piani.
Altro aspetto, la globalizzazione, che ha rimpicciolito il mondo allargandone le opportunità. Ora, dopo la crisi economica iniziata nel 2008 vediamo meglio le contraddizioni di questo sviluppo che ampliando le opportunità fa stare meglio chi stava peggio e al tempo stesso abbatte parte del benessere conquistato a quelli che facevano parte del ceto medio produttivo, impoverito in Italia e negli altri Paesi Occidentali.
A ciò si aggiunge la crisi produttiva che ha penalizzato il lavoro e le capacità produttive a vantaggio della finanza internazionale e della rendita finanziaria.
Tutto ciò ha mostrato sul piano dimensionale e finanziario la debolezza del nostro tessuto produttivo fatto da piccole e medie imprese scarsamente capitalizzate, oltre che da un sistema bancario parcellizzato.
Va inoltre considerata la denatalità che unitamente all’invecchiamento della popolazione rende difficile mantenere in equilibrio il nostro sistema pensionistico alimentato dagli occupati a vantaggio di chi è in quiescenza con pensioni per la gran parte dei casi basse.
Senza considerare i giovani che una volta formati vengono lasciati “scappare” dall’Italia e non sono trattenuti con la creazione di opportunità.
Dobbiamo poi considerare l’epoca della politica liquida e della disintermediazione degli interessi che rifuggiva i “corpi intermedi” promuovendo il leaderismo ed il personalismo autoreferenziale in politica.
Un sistema che non favoriva la partecipazione ma l’isolamento attraverso i social con l’illusione dell’egualitarismo nella critica politica.
La società italiana si è incattivita per effetto della crisi divenendo più individualista e paurosa.
Si è creata la distanza tra città e periferia, tra le istituzioni e i cittadini, oltre che tra generazioni e chi stava bene e chi stava male.
La crisi non ha salvaguardato nemmeno il mondo della cooperazione che tolta la Grande Distribuzione Organizzata ed il settore dei servizi e della logistica ha per il resto risentito enormemente della crisi.
Senza considerare l’alto debito pubblico e l’alta spesa pubblica in un Paese come l’Italia in cui crescevano le povertà e la disoccupazione ed in particolare la disoccupazione giovanile ed il precariato.
In questo clima si è fatta la riforma pensionistica durante il Governo Monti che ha creato il fenomeno degli “esodati” e la riforma costituzionale bocciata il 4 Dicembre 2016.
Ricordo che la riforma Fornero è stata votata da tutto il Parlamento fatta eccezione per la Lega e senza alcuna protesta sociale nelle piazze.
A ciò aggiungiamo l’avanzare della Gig economy (che non produce lavoro tutelato e non redistribuisce ricchezza), la robotizzazione e la intelligenza artificiale, i Big Data, le stampanti 3D…. Processi che richiedono più scolarizzazione e più formazione tecnica che in Italia è in crisi di iscrizioni, nonostante l’enorme domanda di tecnici specializzati per essere all’altezza della competizione. La tecnologia può superare posti di lavoro per effetto della automazione ma ne crea altri di alta gamma e specializzazione. Bisogna attrezzarsi per competere.
Tutto ciò ha preceduto l’enorme sconfitta ampiamente annunciata per la sinistra e per il PD del 4 Marzo 2018.
Serviva una rivoluzione liberale basata sulla concorrenza nei mercati a vantaggio dei consumatori e meno bonus e più crescita industriale.
Bisogna allargare la capacità produttiva per allargare la base imponibile e la capacità di pagare tasse progressive e non fare la flat tax che porta vantaggio solo a chi è più ricco e non è automatico che reinvesta la propria ricchezza nel Paese che l’ha prodotta.
L’altro grande tema è la riforma della scuola. Il Governo Renzi grazie alla “buona scuola” ha stabilizzato tantissimi insegnanti precari e con i concorsi ragazzi appena laureati, a discapito di precari storici. Si sono coperti 60 – 70.000 posti vacanti a fronte di una necessità di 120.000 e con l’algoritmo si sono mandati a nord insegnanti precari del sud e viceversa a seconda delle disponibilità in base alle materie insegnate ed in base alla disponibilità degli istituti. Ecco, noi su questo, nonostante facessimo una cosa utile ci siamo giocati il consenso degli insegnanti.
Aggiungo altre questioni, che credo siano da approfondire in un momento storico in cui rischiamo di vedere aumentata l’Iva dal 22% al 25% comprimendo i consumi proprio quando andrebbero favoriti. Come faremo a pagare il welfare, la sanità e a favorire gli investimenti pubblici in un Paese dall’alta pressione fiscale e dall’alta evasione fiscale?
Un altro problema è quello delle liste di attesa in sanità. Processo che favorisce la sanità privata a svantaggio della sanità pubblica che dà anche la possibilità ai primari degli ospedali pubblici di sviluppare la cosiddetta intramoenia. Ecco, come risolviamo questa problematica rendendo omogenea sul piano della qualità pubblica la sanità del nord e quella del sud e non un sistema sanitario legato all’efficienza e alla qualità delle regioni più forti e più produttive?
Dovremo poi rafforzare il welfare familiare per sgravare maggiormente il peso del compito di cura alle persone non autosufficienti che grava per la maggior parte dei casi sulle famiglie.
Un ulteriore problema legato al turismo è mosso dal fatto che abbiamo strutture piccole e poco competitive finanziariamente perché date in affitto sul piano della gestione e manca un progetto per rafforzare la nostra capacità turistica ricettiva sul piano della competitività delle strutture.
Per non parlare della problematica istituzionale. Cosa succede dopo il referendum costituzionale rispetto alla riforma Del Rio sulle Province?
Come proseguiamo la riforma della PA dopo il grande contributo della riforma Madia?
Come si esplica la dura opposizione del PD oltre ai ‘pop corn’ visto che il Governo Di Maio – Salvini ha avuto una lunga gestazione di quasi tre mesi e da quando è nato ha fatto solo campagna elettorale e zero provvedimenti (l’unico atto votato ha riguardato il Tribunale di Bari)?
Le questioni, i temi, alcune delle problematiche che dovrebbero essere oggetto del futuro Congresso del Partito Democratico.
Il PD non può attendere ulteriormente.
Non possiamo permetterci gruppi dirigenti fermi, appiattiti sulle proprie rendite di posizione a salvaguardia di interessi di bottega di corto respiro, per i propri destini personali.
Manca una discussione profonda, capace di non rimuovere la sconfitta e che faccia i conti con la realtà superando la “logica dello struzzo”.
Occorre azzerare per ripartire, non dobbiamo salvare il ceto politico del PD ma il PD.
La scissione tra PD e LeU ha indebolito la sinistra e le alleanze di centro sinistra che peraltro non avevano un’anima.
Il centro sinistra si è prima diviso alle politiche del 4 Marzo e poi riunito in molti casi nelle singole tornate amministrative. Si sono sommate forze politiche senza delineare l’identità politica di un progetto amministrativo o di Governo. Si sentivano più i distinguo che i punti di una proposta forte, mentre i 5 stelle e la Lega erano chiari da una parte sul “reddito di cittadinanza” e dall’altra sul no alla Fornero e sull’”aiutiamoli a casa loro”.
La proposta del PD ha rivendicato i 100 punti delle cose fatte al Governo e le tante cose ancora da fare, senza minimamente caratterizzarsi su nulla.
Ora, ad esempio, emergono molte contraddizioni nelle proposte di Governo e ne cito alcune:
– Come si fa a conciliare il nord che votava Lega per non assistere il sud con il sud che vota Lega e 5 stelle chiedendo il reddito di cittadinanza?
– Come si fanno a conciliare gli interessi degli imprenditori del Nord che chiedono aperture per interessi commerciali verso la Russia con un Salvini che appoggia Trump sul protezionismo economico?
– Come si fa a garantire la tenuta dell’Europa fortemente compromessa se l’Italia si isola e non chiarisce la propria posizione verso l’Europa e verso la tenuta e la difesa dell’Euro?
Tutto ciò mentre il Presidente della BCE Draghi dovrà chiudere i rubinetti del cosiddetto “quantitative easing” che sono serviti fino a qui per acquistare i titoli di debito degli Stati.
Non voglio ricordare poi i recenti attacchi da parte dei Ministri leghisti sui Diritti Civili così tardivamente conquistati.
Bene, io chiedo il Congresso per non andare oltre il Partito Democratico ma per rilanciarlo e rifondarlo.
Siamo passati dall’annullamento dell’iniziativa del Partito divenuto semplice appendice o megafono acritico dell’azione di Governo ad un automatismo partito – istituzioni.
Ora ad esempio dopo la sconfitta di Imola dopo 70 anni di Governo di centrosinistra la Lega ed i 5 stelle attaccheranno il buon governo dell’Emilia Romagna che da solo non basterà per rivincere le elezioni del prossimo anno.
Rischiamo di avere tutti contro, dai 5 stelle alla Lega, al centrodestra e di isolarci nella nostra riserva consolatoria. Siamo riusciti a creare le premesse per assommare i diversi elettorati contro di noi nei ballottaggi.
Il Governo della Regione Emilia Romagna non è dato solo dalla qualità dei singoli provvedimenti o dalla qualità dei suoi servizi ma dalla sua anima e dal valore della coesione sociale.
Dal fatto di tenere insieme il mondo del lavoro e dell’impresa, la cultura, la cooperazione, la sanità. Dal fatto di garantire la redistribuzione della ricchezza, le infrastrutture ed il benessere diffuso.
Ecco, tutto questo rischia di essere compromesso con l’attacco al cosiddetto “sistema di potere”, banalizzando il buon governo del centro sinistra e riducendolo ad establisment e ad un sistema di potere chiuso, poco trasparente e da abbattere – a detta di Di Maio e Salvini -.
Noi non possiamo rimanere fermi e dobbiamo rilanciare il Partito Democratico ed il nostro Governo regionale riconnettendolo ai problemi, al territorio, alle imprese, al mondo reale.
Non dobbiamo promuoverci da soli perché facciamo le cose al meglio ma dobbiamo costruire il riformismo dal basso (partecipato orizzontalmente) e non calato dall’alto in maniera verticistica. Solo così le riforme sono forti se nascono tra le persone come ha detto Nicola Zingaretti.
Non dobbiamo tornare ai Partiti del ‘900 o rimpiangere il PD ed il centrosinistra del 2008 o del 2013 ma rilanciare un nuovo progetto aperto alla società, alle associazioni, alle singole personalità, alle forze economiche, politiche, sindacali che ci stanno ed al civismo più diffuso.
Non dobbiamo salvare un gruppo dirigente che ci ha condotto alla sconfitta o un ceto politico cambiando semplicemente e in maniera trasformista la casacca rispetto alla fase nuova che si dovrà necessariamente aprire ma azzerare l’attuale gruppo dirigente per costituirne uno nuovo a partire dai territori così da salvare il PD, la sua gente e la buona politica che è quella che si fa insieme.”
A Ravenna, insieme a Lucia Annibali, ai consiglieri Gianni Bessi, Roberta Mori, e Mirella Del Fiume coordinati da Simona Branchetti. Abbiamo fatto il punto sulle politiche di genere e sul contrasto alla violenza sulle donne. Cosa si è fatto e cosa serve fare per aiutare e sostenere le donne vittime di violenza e per contrastare il fenomeno.
Quella relativa alla tornata elettorale svoltasi domenica scorsa (4 mazo 2018) rimarrà probabilmente nella storia come una delle sconfitte più cocenti del centrosinistra italiano dal dopoguerra ad oggi.
Occorre una piena assunzione di responsabilità da parte di un intero gruppo dirigente; bene, da questo punto di vista, le dimissioni di Renzi.
Lunedì prossimo, 12 marzo, è convocata la Direzione Nazionale del Partito Democratico, alla quale parteciperò, e dove auspico avvenga una discussione (con tanto di ascolto e non di comunicazione unilaterale) nella quale non venga omesso il tema della sconfitta, come spesso si è fatto dopo tutte quelle che si sono succedute in seguito alle Europee del 2014, in primis quella relativa al referendum costituzionale ma anche nei diversi turni di voto amministrativo, non ultimo quello delle regionali siciliane. Guardiamo avanti ma non sottovalutiamo errori e sconfitte.
Non commettiamo nemmeno lo sbaglio di svolgere il nostro dibattito tra opposte tifoserie: non è più il tempo (non lo sarebbe mai dovuto essere) di ‘renziani e antirenziani’ perché non ha perso solo Renzi, verso il quale non sono mai stata tenera, ma ha perso tutto il centrosinistra; e all’opposizione non ci mandano le dichiarazioni dei dirigenti del PD ma ci ha mandato l’elettorato.
E su questo, cioè sul dibattito iniziato sulla futura collocazione del partito, mi vien da dire che pare più un diversivo per sviare l’attenzione rispetto a quello che deve essere l’oggetto vero della discussione: l’esito del risultato elettorale. Di fatto, la grande maggioranza degli esponenti del PD ha già espresso contrarietà all’ipotesi di entrare in qualsiasi tipo di coalizione di governo con altre forze politiche (sia M5S che centrodestra), ma guarda caso in queste ore si parla solo di questo. Evitiamo.
Così come non dobbiamo scadere in dibattiti con riferimenti esilaranti tipo quelli relativi ai caminetti a cui lo stesso Segretario ha fatto riferimento, anche perché, a ben guardare, l’unico caminetto convocato in seduta permanente è stato quello riunito al Nazareno per la definizione delle candidature.
Si vedrà, fin da lunedì, se ci sarà un primo cambio di passo o meno, se la Direzione cioè sarà convocata come accaduto fino ad oggi per ratificare un qualcosa di già deciso o se vi sarà la possibilità di un dibattito vero, profondo, anche aspro, ma che porti a delle scelte realmente collegiali. Se vogliamo proseguire con serietà dobbiamo collaborare tutti per individuare un percorso comune di analisi e rilancio del partito, che ci consenta anche di attraversare i passaggi istituzionali imminenti con responsabilità e unità. Per farlo serve una direzione politica realmente inclusiva, occorre abbandonare il modello del “lanciafiamme” e costruire nuovi spazi di dialogo e confronto.
Venendo al dato più locale, regionale e riminese, penso che anche qui vadano colti alcuni segnali.
A livello regionale la nostra coalizione conquista 18 seggi sui 45 totali alla Camera (tra collegi uninominali e parte proporzionale) e 8 seggi su 22 al Senato: un netto ridimensionamento rispetto al 2013, che pone la coalizione di centrosinistra (senza LeU) al secondo posto dopo quella di centrodestra e prima del M5S. E’ un dato che non va sottovalutato, tenendo conto anche della prossima scadenza elettorale che coinvolgerà proprio la regione Emilia-Romagna nell’autunno del 2019.
Nel riminese il centrosinistra si piazza terzo, nettamente dietro a centrodestra e M5S. Questo deve farci fare necessariamente una riflessione ineludibile. Nella primavera del 2019 andranno al voto 16 Comuni su 25, tra i quali due con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. Vero è che sono sempre esistite e sempre esisteranno delle diversità tra il voto politico e quello amministrativo, ma il rischio è che tale differenza si possa annacquare col tempo, e la scelta dei cittadini tra le opzioni in campo potrebbe essere sempre di più influenzata anche da altri fattori, che non siano quelli prettamente locali.
In alcune delle analisi fatte ho notato che improvvisamente nessuno più ha richiamato la dizione ‘modello Rimini’, citata come un mantra fino alla sera del 3 marzo da molti degli addetti ai lavori e usata perlopiù per giustificare una candidatura legittima, ma sulla quale una parte del PD aveva espresso forti dubbi. Quindi credo che quando parliamo di modelli faremmo bene a riferirci ad un modo di governare, fatto di cose concrete realizzate per i cittadini e per le nostre comunità, e non tanto a formule politicistiche che riguardano più il ceto politico che altro.
Caro Andrea (Gnassi), quando affermi testualmente (lo scrivo con l’unico intento di confrontarci, senza alcuna polemica): ”A Rimini, in provincia di Rimini, se la competizione è tra persone e programmi, e non tra fantasmi e ologrammi di partito dietro cui si nasconde la propria inconsistenza, allora la musica cambia….” cosa intendi? Il PD aveva un programma sbagliato per le politiche? I candidati del nostro territorio non erano adeguati? Io non lo penso, né sul programma nazionale e nemmeno ad esempio sul candidato del PD, Tiziano Arlotti, che ha svolto un buon lavoro nei cinque anni romani, conciliandolo con una costante presenza sul nostro territorio.
Facciamola quindi questa profonda riflessione, non chiudiamoci nel nostro recinto autoassolutorio o consolatorio, cercando colpe, alibi o cause esterne e liquidando l’accaduto come un nulla di fatto perché commetteremmo un grave errore.
Una bella serata a Parma, giovedì 22 febbraio, a sostegno delle candidate del Partito democratico alle elezioni politiche. Con Lucia Annibali, con cui abbiamo condiviso il lavoro della cabina di regia nazionale contro la violenza alle donne. Con Paola Gazzolo, Licia Ferrari, Emma Iovino, la consigliera regionale Barbara Lori. Abbiamo parlato della politica per le donne e le misure concrete con cui realizzarla.
“Profili urbani”. Una bella occasione di confronto, a Firenze, nella quale abbiamo parlato della pubblica amministrazione, ritenuta il vero motore dello sviluppo del nostro paese. Abbiamo avuto importantissime occasioni di approfondimento e dibattito su questi temi, come ad esempio la Conferenza Programmatica che si è svolta a Napoli lo scorso ottobre. In quell’occasione come responsabile del Dipartimento PA ho avuto l’onore di presentare sia i risultati delle riforme fatte negli ultimi anni oltre alla definizione del percorso di sviluppo delle riforme stesse.
Nelle ultime settimane sono stata oggetto di attenzione: cosa farà Emma? Starà in Regione e continuerà a fare l’assessora? Si candiderà a Roma per ritornare a fare l’onorevole? Nei corridoi della politica si dava per scontata una mia candidatura al Parlamento. Alcuni erano contenti, altri scontenti. C’è chi ironizzava sulla mia presunta capacità di uscire ed entrare dall’Aula di Montecitorio a piacere.
Sicuramente ha influito in tutto ciò il fatto che il mio nome è uscito tra i possibili candidati che potevano incrociare area culturale del Pd unitamente al rispetto delle norme sulla rappresentanza di genere. Un’ipotesi fatta a Roma. E a fronte di questa ipotesi nazionale ho risposto che la mia scelta l’ho già fatta quando ho deciso su richiesta del presidente Stefano Bonaccini di lasciare il Parlamento nel 2015 e di accettare la sfida su Bilancio, Riforme, Riorganizzazione regionale e Pari opportunità in Emilia Romagna.
La politica non è una carriera individuale ma una passione. Non è la scelta di un singolo ma un percorso di comunità. Per questo continuerò a dare il mio contributo. E per essere fedele a me stessa, alla mia etica e lealtà e al mio impegno voglio continuare a fare il mio lavoro in Regione.
Ho deleghe che richiedono un grande impegno. Abbiamo approvato a dicembre il bilancio di previsione 2018 e siamo già al lavoro per quello del prossimo anno, che di fatto chiuderà il nostro mandato. Stiamo portando avanti il percorso per ottenere una maggiore autonomia della Regione Emilia-Romagna. Siamo nel pieno del confronto col Governo per la sottoscrizione della pre-intesa, che dovrà portare immediatamente dopo le prossime elezioni, col nuovo esecutivo, ad attuare l’autonomia. C’è un lavoro in corso sul tema delle Unioni di Comuni e sull’assetto futuro delle Province, lavoro che vede sviluppi continui nei confronti con le diverse istituzioni territoriali. Ultimo per citazione ma non per importanza, il tema delle pari opportunità e delle politiche contro la violenza sulle donne, sul quale abbiamo intrapreso un percorso di forte sensibilizzazione e anche di investimento di risorse, ma serve continuare.
Voglio condividere un’ultima riflessione. Quando si parla di ruoli “di potere” ricoperti da donne si tende sempre a volerle giudicare con lo “sguardo agonistico maschile”, quasi che non dovessero portare la loro autonomia, soggettività, sensibilità, il proprio approccio o le peculiarità proprie dello sguardo femminile.
Abbiamo di fronte a noi una campagna elettorale breve e difficile. Non sono in gioco le carriere dei singoli ma è in gioco la prospettiva di un Paese. Sarà una campagna elettorale a chi “la spara più grossa” per solleticare “la pancia dell’elettorato”. Per questa ragione il Pd, chiusa la partita delle candidature, deve spiegare l’azione di governo portata avanti in questi anni e le proposte per la nuova legislatura, lavorando per ricostruire quel campo ampio di centrosinistra ancora incompiuto, largo ed inclusivo. Il mio impegno nella campagna elettorale sarà totale per fare ottenere al Pd un risultato elettorale positivo che ci permetta di continuare a svolgerlo di primo piano nel governo del Paese.