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Elezioni politiche 2018. Petitti: “Occorre una seria riflessione per il bene del Pd”

Quella relativa alla tornata elettorale svoltasi domenica scorsa (4 mazo 2018) rimarrà probabilmente nella storia come una delle sconfitte più cocenti del centrosinistra italiano dal dopoguerra ad oggi.

Occorre una piena assunzione di responsabilità da parte di un intero gruppo dirigente; bene, da questo punto di vista, le dimissioni di Renzi.

Lunedì prossimo, 12 marzo, è convocata la Direzione Nazionale del Partito Democratico, alla quale parteciperò, e dove auspico avvenga una discussione (con tanto di ascolto e non di comunicazione unilaterale) nella quale non venga omesso il tema della sconfitta, come spesso si è fatto dopo tutte quelle che si sono succedute in seguito alle Europee del 2014, in primis quella relativa al referendum costituzionale ma anche nei diversi turni di voto amministrativo, non ultimo quello delle regionali siciliane. Guardiamo avanti ma non sottovalutiamo errori e sconfitte.

Non commettiamo nemmeno lo sbaglio di svolgere il nostro dibattito tra opposte tifoserie: non è più il tempo (non lo sarebbe mai dovuto essere) di ‘renziani e antirenziani’ perché non ha perso solo Renzi, verso il quale non sono mai stata tenera, ma ha perso tutto il centrosinistra; e all’opposizione non ci mandano le dichiarazioni dei dirigenti del PD ma ci ha mandato l’elettorato.

E su questo, cioè sul dibattito iniziato sulla futura collocazione del partito, mi vien da dire che pare più un diversivo per sviare l’attenzione rispetto a quello che deve essere l’oggetto vero della discussione: l’esito del risultato elettorale. Di fatto, la grande maggioranza degli esponenti del PD ha già espresso contrarietà all’ipotesi di entrare in qualsiasi tipo di coalizione di governo con altre forze politiche (sia M5S che centrodestra), ma guarda caso in queste ore si parla solo di questo. Evitiamo.

Così come non dobbiamo scadere in dibattiti con riferimenti esilaranti tipo quelli relativi ai caminetti a cui lo stesso Segretario ha fatto riferimento, anche perché, a ben guardare, l’unico caminetto convocato in seduta permanente è stato quello riunito al Nazareno per la definizione delle candidature.

Si vedrà, fin da lunedì, se ci sarà un primo cambio di passo o meno, se la Direzione cioè sarà convocata come accaduto fino ad oggi per ratificare un qualcosa di già deciso o se vi sarà la possibilità di un dibattito vero, profondo, anche aspro, ma che porti a delle scelte realmente collegiali. Se vogliamo proseguire con serietà dobbiamo collaborare tutti per individuare un percorso comune di analisi e rilancio del partito, che ci consenta anche di attraversare i passaggi istituzionali imminenti con responsabilità e unità. Per farlo serve una direzione politica realmente inclusiva, occorre abbandonare il modello del “lanciafiamme” e costruire nuovi spazi di dialogo e confronto.

Venendo al dato più locale, regionale e riminese, penso che anche qui vadano colti alcuni segnali.

A livello regionale la nostra coalizione conquista 18 seggi sui 45 totali alla Camera (tra collegi uninominali e parte proporzionale) e 8 seggi su 22 al Senato: un netto ridimensionamento rispetto al 2013, che pone la coalizione di centrosinistra (senza LeU) al secondo posto dopo quella di centrodestra e prima del M5S. E’ un dato che non va sottovalutato, tenendo conto anche della prossima scadenza elettorale che coinvolgerà proprio la regione Emilia-Romagna nell’autunno del 2019.

Nel riminese il centrosinistra si piazza terzo, nettamente dietro a centrodestra e M5S. Questo deve farci fare necessariamente una riflessione ineludibile. Nella primavera del 2019 andranno al voto 16 Comuni su 25, tra i quali due con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. Vero è che sono sempre esistite e sempre esisteranno delle diversità tra il voto politico e quello amministrativo, ma il rischio è che tale differenza si possa annacquare col tempo, e la scelta dei cittadini tra le opzioni in campo potrebbe essere sempre di più influenzata anche da altri fattori, che non siano quelli prettamente locali.

In alcune delle analisi fatte ho notato che improvvisamente nessuno più ha richiamato la dizione ‘modello Rimini’, citata come un mantra fino alla sera del 3 marzo da molti degli addetti ai lavori e usata perlopiù per giustificare una candidatura legittima, ma sulla quale una parte del PD aveva espresso forti dubbi. Quindi credo che quando parliamo di modelli faremmo bene a riferirci ad un modo di governare, fatto di cose concrete realizzate per i cittadini e per le nostre comunità, e non tanto a formule politicistiche che riguardano più il ceto politico che altro.

Caro Andrea (Gnassi), quando affermi testualmente (lo scrivo con l’unico intento di confrontarci, senza alcuna polemica): ”A Rimini, in provincia di Rimini, se la competizione è tra persone e programmi, e non tra fantasmi e ologrammi di partito dietro cui si nasconde la propria inconsistenza, allora la musica cambia….” cosa intendi? Il PD aveva un programma sbagliato per le politiche? I candidati del nostro territorio non erano adeguati? Io non lo penso, né sul programma nazionale e nemmeno ad esempio sul candidato del PD, Tiziano Arlotti, che ha svolto un buon lavoro nei cinque anni romani, conciliandolo con una costante presenza sul nostro territorio.

Facciamola quindi questa profonda riflessione, non chiudiamoci nel nostro recinto autoassolutorio o consolatorio, cercando colpe, alibi o cause esterne e liquidando l’accaduto come un nulla di fatto perché commetteremmo un grave errore.

“La mia scelta? L’ho fatta tre anni fa scegliendo la Regione, dove continua il mio impegno”

Nelle ultime settimane sono stata oggetto di attenzione: cosa farà Emma? Starà in Regione e continuerà a fare l’assessora? Si candiderà a Roma per ritornare a fare l’onorevole? Nei corridoi della politica si dava per scontata una mia candidatura al Parlamento. Alcuni erano contenti, altri scontenti. C’è chi ironizzava sulla mia presunta capacità di uscire ed entrare dall’Aula di Montecitorio a piacere.
Sicuramente ha influito in tutto ciò il fatto che il mio nome è uscito tra i possibili candidati che potevano incrociare area culturale del Pd unitamente al rispetto delle norme sulla rappresentanza di genere. Un’ipotesi fatta a Roma. E a fronte di questa ipotesi nazionale ho risposto che la mia scelta l’ho già fatta quando ho deciso su richiesta del presidente Stefano Bonaccini di lasciare il Parlamento nel 2015 e di accettare la sfida su Bilancio, Riforme, Riorganizzazione regionale e Pari opportunità in Emilia Romagna.
La politica non è una carriera individuale ma una passione. Non è la scelta di un singolo ma un percorso di comunità. Per questo continuerò a dare il mio contributo. E per essere fedele a me stessa, alla mia etica e lealtà e al mio impegno voglio continuare a fare il mio lavoro in Regione.
Ho deleghe che richiedono un grande impegno. Abbiamo approvato a dicembre il bilancio di previsione 2018 e siamo già al lavoro per quello del prossimo anno, che di fatto chiuderà il nostro mandato. Stiamo portando avanti il percorso per ottenere una maggiore autonomia della Regione Emilia-Romagna. Siamo nel pieno del confronto col Governo per la sottoscrizione della pre-intesa, che dovrà portare immediatamente dopo le prossime elezioni, col nuovo esecutivo, ad attuare l’autonomia. C’è un lavoro in corso sul tema delle Unioni di Comuni e sull’assetto futuro delle Province, lavoro che vede sviluppi continui nei confronti con le diverse istituzioni territoriali. Ultimo per citazione ma non per importanza, il tema delle pari opportunità e delle politiche contro la violenza sulle donne, sul quale abbiamo intrapreso un percorso di forte sensibilizzazione e anche di investimento di risorse, ma serve continuare.
Voglio condividere un’ultima riflessione. Quando si parla di ruoli “di potere” ricoperti da donne si tende sempre a volerle giudicare con lo “sguardo agonistico maschile”, quasi che non dovessero portare la loro autonomia, soggettività, sensibilità, il proprio approccio o le peculiarità proprie dello sguardo femminile.

Abbiamo di fronte a noi una campagna elettorale breve e difficile. Non sono in gioco le carriere dei singoli ma è in gioco la prospettiva di un Paese. Sarà una campagna elettorale a chi “la spara più grossa” per solleticare “la pancia dell’elettorato”. Per questa ragione il Pd, chiusa la partita delle candidature, deve spiegare l’azione di governo portata avanti in questi anni e le proposte per la nuova legislatura, lavorando per ricostruire quel campo ampio di centrosinistra ancora incompiuto, largo ed inclusivo. Il mio impegno nella campagna elettorale sarà totale per fare ottenere al Pd un risultato elettorale positivo che ci permetta di continuare a svolgerlo di primo piano nel governo del Paese.