Lo Statuto dei Lavoratori compie 50 anni: una mia riflessione

50 anni fa, dopo una stagione di lotte e mobilitazioni, tra difficoltà e ostacoli, è stato approvato lo Statuto dei Lavoratori, il quale, come spiegava Giuseppe Di Vittorio, storico segretario della CGIL, aveva il fine di “portare la Costituzione nelle fabbriche” e di dare piena attuazione a quei principi di libertà in materia di diritti del lavoro previsti dalla Carta ma rimasti per lo più inapplicati.

La spinta alla stesura dello Statuto si deve al ministro Giacomo Brodolini che nel 1969 istituì una Commissione nazionale con l’incarico di stendere una bozza del testo, coaudiuvato dal giuslavorista Gino Giugni, ricordato come il “padre” dello Statuto, che il 20 maggio 1970 portó a termine il difficile compito grazie anche a una collaborazione con il neo ministro Carlo Donat Cattin.

Questo anniversario ricade in un periodo non facile, segnato dagli strascichi economici e sociali di questa pandemia, in cui molte persone hanno subito danni pesanti e altre ancora navigano nell’incertezza circa il proprio futuro professionale.

Una riflessione è d’obbligo: oltre alle istituzioni, chi ha svolto un ruolo indispensabile durante questa emergenza sono stati proprio i lavoratori e le lavoratrici.

Il personale medico che ha garantito le cure negli ospedali, cassieri e commessi dei supermercati, le forze dell’ordine, i farmacisti e le farmaciste.
Tutti coloro che hanno assicurato la prosecuzione dei servizi essenziali. E anche tutti coloro che hanno lavorato da casa o che hanno dovuto chiudere le loro attività, stringendo i denti.

Ciò che porta avanti il benessere e lo sviluppo di una società è il lavoro: le persone, la fatica e i sacrifici che stanno dietro a questa parola.

I 50 anni dello Statuto dei Lavoratori, celebrati in un contesto inedito e complesso come quello che stiamo attraversando, devono essere un impulso verso un cambiamento che sappia cogliere nelle avversità delle opportunità per affrontare le nuove sfide della società e i ritardi del passato.

Parliamo di un insieme di norme sulla tutela e le libertà dei lavoratori che oggi, con maggiore consapevolezza, va rivisto, rimodulato, riadattato.

Serve allargare le protezioni alle categorie escluse, porre l’accento sulla sicurezza dei lavoratori, sulla necessità di avere pari opportunità tra donne e uomini nel mondo produttivo, tenendo in considerazione anche le nuove forme di precariato e le innovazioni tecnologiche, in modo da canalizzarle e ottimizzarle.

Lo Statuto dei Lavoratori è stato un importante traguardo frutto di una rottura con antichi meccanismi. E quindi, la concomitanza tra questo delicato periodo e questa ricorrenza, dev’essere un monito per aprire una riflessione collettiva su quanto fatto ma soprattutto sui nuovi orizzonti, ripensando e riprogrammando modalità e rapporti di lavoro, avendo sempre come bussole la giustizia sociale e il principio sacrosanto della dignità del lavoro.

Proprio nel decreto Rilancio varato nei giorni scorsi è stata inserita una procedura per regolarizzare una parte dei migranti che lavorano o intendono lavorare in alcuni settori come l’agricoltura, la cura della casa e l’assistenza degli anziani.

Un risultato a mio avviso importante, che, come ha ben spiegato anche il Ministro Provenzano, non è soltanto utile, ma chiama in causa il tema della giustizia e della civiltà.

Questo esempio per dire che nei momenti più delicati spesso si possono risolvere questioni magari lasciate in sospeso in tempi più tranquilli.

Il nostro Paese per risollevarsi da questa crisi deve cicatrizzare vecchie ferite e risanare le fratture tra persone, colmando i divari economici e sociali che si frappongono tra i cittadini. Ponendo al centro diritti e lavoro.

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