Una mia riflessione in occasione della Festa del Lavoro

LAVORO. I DIRITTI AL PRIMO POSTO  

I diritti, primi da tutto. Per festeggiare il Primo Maggio dobbiamo ancora  oggi, nel 2023,  partire dalla difesa dei diritti di tutti i lavoratori.  E dai più deboli in particolare.  Significa da sempre lottare per una società più giusta, dove ogni lavoratore e ogni lavoratrice si sentano prima di tutto persone e non ingranaggi di un sistema. E non mi sembra sia tempo di abbassare la guardia.

“Occorre costruire una società più giusta, meno diseguale, più libera, più democratica: più umana” ci insegnava Enrico Berlinguer, sono passati più di quarant’anni e siamo ancora qui: viviamo in un’epoca in cui questi valori vengono demoliti in nome del denaro e della sottomissione alle regole di un mercato troppo veloce. La nostra piaga si chiama lavoro povero: i rider, il vasto mondo dei servizi sottopagati, il lavoro nero. L’elenco è lungo e lambisce anche la nostra terra, Rimini, la Romagna, dove occorre sempre tenere alta l’attenzione sul lavoro stagionale. Ogni anno, poi, in tutto il Paese facciamo i conti con troppe morti sul lavoro, anche loro prime vittime di un modello di società dove la sicurezza viene sempre sacrificata alla produttività.

La povertà è tornata ad essere una colpa da punire e sanzionare, come nell’800. La conferma è arrivata nei giorni scorsi quando il governo, dopo aver promesso in campagna elettorale che si sarebbe fatto carico dei bisogni della parte meno ricca della società, ha deciso di penalizzare i più deboli: il nuovo decreto-lavoro del governo di Giorgia Meloni punta proprio ad allargare le maglie della precarietà aumentando il ricorso ai contratti a termine, ormai diventati la forma ordinaria di assunzione di migliaia di ragazze e ragazzi.  Non si tratta solo di contratti insicuri e a basso reddito, ma di una vera e propria forma di sfruttamento.

Poco importa se nel resto d’Europa, dal Portogallo alla Germania, si persegue la strada opposta: in Italia vengono riproposte ricette vecchie, superate e smentite dai fatti.

Non si parla di salario minimo, non si parla di maggiori tutele per le lavoratrici madri. Manca il confronto con il sindacato. Non c’è nessun investimento sulla formazione professionale.

La direzione da seguire deve essere un’altra, e la meta non può che essere un vero lavoro di qualità.  L’elenco delle cose da fare è lungo: abolire gli stage gratuiti e i contratti pirata, introdurre il salario minimo perché sotto una certa soglia non è lavoro, ma  sfruttamento. Come avvenuto in Germania e in Gran Bretagna,  si deve sperimentare la settimana di lavoro a quattro giorni a parità di salario per aumentare il numero degli occupati. Mentre servono regole per i nuovi lavori garantendo il diritto alla disconnessione e trovando forme di tutela per il mondo delle partite Iva dove non tutti sono veri lavoratori autonomi.

La stella polare, poi, deve essere la parità salariale tra uomini e donne: se ne parla dal 1976, molti passi in avanti sono stati fatti, ma resta da sradicare la malapianta dell’ingiustizia, dei tanti sotterfugi con cui si cerca di aggirare la legge per perpetuare una ingiustizia di genere ormai insopportabile. In questi anni, seppur difficili perché segnati dalla pandemia e poi dalla guerra, l’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna  ha approvato importanti provvedimenti a sostegno del lavoro e della tenuta della coesione sociale. Difendendo il sistema sanitario pubblico e sopperendo ai tagli dei vari governi, si sono investite risorse sulle politiche sociale e per la formazione professionale. Un dato riassume bene il nostro impegno: tra scuola, sanità, diritto allo studio, lavoro, contrasto alle violenze, la Regione ha investito negli ultimi anni oltre un miliardo di euro a sostegno della parità di genere. Così come abbiamo fortemente voluto la legge sui talenti che, approvata due mesi fa, prevede risorse e interventi per evitare che ragazze e ragazzi debbano lasciare l’Emilia-Romagna per andare all’estero a cercare un impiego qualificato. Ma non basta ancora, altri impegni sarebbero urgenti e non prorogabili. In tema di diritti, lo possiamo dire, il lavoro davvero non manca.

 

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