Intervista al Corriere Romagna sulle tematiche relative al lavoro
Ringrazio il Corriere Romagna per l’ospitalità. Qui l’intervista integrale
1 – Petitti, alla vigilia della festa dei lavoratori, che quest’anno si celebra in un contesto così peculiare per via della guerra e per gli strascichi della pandemia, che ruolo crede ricopra il lavoro nella società?
«Innanzitutto credo sia necessario riflettere sul concetto di valore del lavoro. Le battaglie sociali nel tempo hanno fatto sì che il lavoro fosse maggiormente riconosciuto, retribuito e garantito. Oggi, in un’economia globale, occorre ancora soffermarci per porre al centro il valore del lavoro che deve fondarsi su requisiti quali formazione, retribuzione, sicurezza, qualità, continuità e dignità. Garantire un lavoro sicuro e al sicuro, perché anche questo è un tema centrale: nel 2022 i fatti di cronaca relativi alle morti sul lavoro ci consegnano numeri ancora preoccupanti e allarmanti, che si sommano alle oltre 1.200 vittime nel 2021, di cui 110 in Emilia-Romagna. La cultura della sicurezza si fa con gli investimenti e la formazione, ma si fa anche con la sorveglianza per prevenire i vari rischi e accadimenti che non avvengono quasi mai per caso».
2- Se il disagio sociale dipende così strettamente dalle dinamiche lavorative, pensa che si potrebbe intervenire in qualche modo, anche con strumenti legislativi, quindi cogenti? C’è un impegno specifico in Regione?
«La sfida di un’economia globale, sempre più legata alle vicende internazionali, dalla crisi del 2008, alla destabilizzazione portata dall’emergenza sanitaria, a cui si sommano le recenti conseguenze portate dalla guerra in Ucraina, da anni ci vede costretti a misurarci su più piani, a ripensare a un ‘nuovo Patto sociale’ che metta al centro la persona, il vero patrimonio dell’impresa, e non lasci indietro nessuno. Quando si parla di lavoro si parla del concetto della responsabilità di impresa. Se l’impresa è solida e opera in un sistema concorrenziale sano, ci sono tutte le condizioni affinché si riesca a salvaguardare il lavoro in quanto tale e quindi il posto di lavoro. La Regione Emilia-Romagna ha definito a fine 2020 il Patto per il Lavoro e per il Clima mettendo allo stesso tavolo dai sindacati alle imprese, dai territori alle professioni, dalla scuola alle università al Terzo settore per il rilancio e lo sviluppo fondati sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Inoltre ora è diventato Cabina di regia del PNRR con le parti sociali, i territori e tutte le componenti della società regionale, per un utilizzo pieno ed efficace dei fondi».
3- Tra gli effetti della guerra c’è anche l’incremento del costo di beni di prima necessità, dalla benzina al pane. Crede che sarebbe il caso di rivedere i minimi salariali? Si può davvero fare qualcosa?
«La vita costa sempre di più, a seguito dei rincari, ai prezzi dell’energia e dei servizi. Il valore del lavoro e la sua giusta retribuzione si ottengono riducendo la tassazione a vantaggio del salario reale del lavoratore. L’Italia è l’unico Paese in Europa in cui i salari negli ultimi 30 anni sono diminuiti, soprattutto a scapito dei più giovani, quindi è senz’altro doveroso intervenire. Dobbiamo far crescere i salari più bassi, superare il lavoro povero e precario, recuperare il potere d’acquisto eroso per rilanciare la domanda interna e migliorare la qualità della nostra economia».
4- Cosa pensa dei ragazzi che rifiutano il lavoro nei ristoranti o negli alberghi perché vogliono il week end libero? È tempo di fare sacrifici oppure è giusto mirare a una tipologia di lavoro che abbia ritmi più leggeri?
«A questo riguardo credo sia necessario soffermarsi sulle condizioni lavorative proposte, senza perdere di vista il rapporto tra la retribuzione e il numero di ore di servizio richieste».
5- Cosa direbbe a un ragazzo o una ragazza che invece rifiuta perché preferisce prendere il Reddito di cittadinanza?
«Penso sia soprattutto importante infondere nei giovani fiducia nel proprio percorso, che possa essere di studi o lavorativo. La società al tempo stesso deve essere capace di accogliere e sostenere questa fiducia con risposte adeguate. Accanto all’obiettivo del salario minimo, occorre fare tutto il possibile per evitare che incidano in negativo i contratti pirata sulle categorie più deboli, i giovani e i meno sindacalizzati».
6- Un altro grosso problema in Italia è il precariato, l’assenza per molti ragazzi di un lavoro stabile. Secondo lei, questo diventerà un modello?
«Per via del precariato e dei salari troppo bassi i giovani più qualificati sono i più motivati ad andarsene via, per cercare opportunità migliori all’estero. Si tratta di un fenomeno che grava sulla produttività del Paese. Se non li valorizziamo non solo perdiamo le migliori “forze lavoro”, ragazze e ragazzi su cui abbiamo investito per tutti gli anni di formazione, spendendo importanti risorse pubbliche, ma stiamo anche tradendo la fiducia di una generazione. La più qualificata della storia, eppure al tempo stesso la più precaria e meno retribuita. In questo senso bisogna anche porre fine agli abusi di stage e tirocini nei confronti dei giovani che portano ulteriore precarietà e sfruttamento e favorire l’apprendistato come avvio di un percorso verso il lavoro buono. Ad esempio qualche giorno fa la Regione ha avviato un progetto pilota che vedrà l’assunzione di nove studenti in un’azienda di Reggio Emilia (prima di iniziare il corso di formazione) come specialisti junior di consulenza e supporto tecnico alle aziende. Inoltre in termini di inclusione la Regione ha appena messo disposizione oltre 6 milioni di euro per orientamento e formazione di persone con disabilità».
7- Le donne si trovano a vivere una realtà ancora più complessa, per via dell’assenza di piani di welfare strutturati. Pensa che si possa agire concretamente in qualche modo?
«Le crisi gravano sempre di più su giovani e donne, quindi è fondamentale favorire i processi di ricambio generazionale e sostenere l’occupazione femminile. Nel Pnrr è riconosciuto come centrale il recupero delle energie femminili come motore per la ripresa economica a partire dalla clausola per il 30% di assunzioni di donne. Solo attraverso l’approvazione di leggi mirate, come la recente legge sulla parità salariale e i due schemi di decreto legislativo sulla conciliazione vita-lavoro dei neogenitori, che attenua lo squilibrio nelle responsabilità familiari tra l’uomo e la donna, può trovare compimento. Una strada parzialmente ancora in salita che attraverso un cambio culturale può trovare ampio spazio e condivisione soprattutto nelle nuove generazioni».
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