“Crisi del Partito democratico: occorre azzerare e ripartire”. L’analisi di Emma Petitti
Se dovessi descrivere oggi come evolverà il comune destino degli Stati dell’Unione Europea e che lascito consegneremo alle future generazione esprimerei una grande preoccupazione.
L’Europa è oggi il vaso di coccio tra i grandi Continenti: Stati Uniti, Russia, Cina che determinano sul piano diplomatico i destini di questo pianeta, anteponendo i loro interessi sul piano politico, economico e sul piano dialettico internazionale a quelli dell’Europa e degli altri Paesi.
Noi non possiamo competere con tutto ciò ritornando all’epoca degli Stati nazionali in Europa. L’Europa che avevano immaginato Adenauer, De Gasperi, Spinelli, Monnet, Shuman, Bech, Spaak, ma anche Koll, Smith, Branth, Napolitano… come generazioni di politici con una visione di futuro, sembra oggi appannarsi e tramontare.
L’Europa è nata per definire un comune destino tra gli Stati fondatori e per abbattere muri, ad iniziare da quello di Berlino e per costruire un comune destino di pace dopo la fine della seconda guerra mondiale e dopo la caduta dei regimi totalitari dell’est Europa. Un’Europa che si è via via allargata ai Balcani e verso i Paesi dell’ex Blocco Sovietico. I trattati di Roma che istituivano la Comunità economica europea vengono firmati il 25 marzo 1957 e solo l’anno scorso abbiamo ricordato il ruolo politico dell’Italia in questo contesto internazionale.
Noi non vogliamo costruire per i più giovani l’Europa della paura, creando le condizioni per alcune forze politiche di aumentare il proprio bacino di voti e speculando sulle paure che vengono alimentate attraverso i social media e il mondo dell’informazione.
Oggi l’Italia sorretta dalla cosiddetta maggioranza giallo verde – tra cinque stelle e Lega- ma a traino leghista, sta allontanando l’Italia dall’Europa per avvicinarla ai Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) unitamente a Paesi come l’Austria e la Slovenia che stanno abbracciando il ritorno ad una politica egoista e sovranista che contraddice per se stessa l’esistenza dell’Unione Europea.
Basta ricordare che se diciamo che l’Italia non può accogliere tutti e chiediamo un riparto più equo delle quote migratorie tra tutti i Paesi Europei, superando l’accordo di Dublino per non relegare i flussi migratori del Mediterraneo ai Paesi del Sud Europa (Spagna, Italia e Grecia), al tempo stesso non possiamo stare con i Paesi del blocco di Visegrad che negano la ripartizione chiedendo all’Europa i fondi per il proprio sviluppo ma negando la solidarietà e la responsabilità nel fare la propria parte con tutti gli altri Paesi europei.
Il Ministro dell’interno deve chiarire se sta con Visegrad o se sta con l’Europa, non facendo la sceneggiata sui porti ma decidendo quale politica di accoglienza fare proprio per non tornare a ciò che fu la Lega di con Maroni Ministro degli interni nel Governo Berlusconi. Maroni che voleva affrontare il problema limitando i flussi e poi fece una maxi sanatoria. Ricordiamo inoltre che la legge che regola il fenomeno migratorio in Italia è ancora la “Bossi – Fini”.
Se il fenomeno migratorio lo si governa nella comune cooperazione tra gli Stati, beh allora non si possono aprire contemporaneamente fronti con la Germania, la Francia, la Spagna, la Tunisia, Malta, la Libia (da cui giungono oltre il 90% di migranti) …. Questo è il modo migliore di isolarsi per fare campagna elettorale sulla pelle dei migranti. Senza considerare la ricaduta negativa dell’Italia in termini di interessi economici e turistici con gli altri Paesi. Un Paese chiuso e arroccato non attrae investimenti, turisti e cooperazione tra gli Stati.
Non fermiamo il fenomeno migratorio con le mani o con i muri ma regolamentandolo insieme. Tutti i Governi di qualunque colore politico che si sono chiusi e isolati non hanno risolto alcun problema.
La storia dei popoli esiste grazie alle migrazioni. Basta guardare la storia degli Stati Uniti, della Francia insieme agli altri Paesi coloniali, ma oggi sta tornando paurosamente il concetto di razza.
Personalmente l’unica razza che conosco è quella umana e le Nazioni Unite affermano che prima del cittadino e dello Stato esiste la persona umana come portatore di diritti oltre che di doveri verso la comunità.
Non possiamo mescolare il fenomeno migratorio con il fenomeno sociale a quello securitario, mescolandone confusamente i piani.
Altro aspetto, la globalizzazione, che ha rimpicciolito il mondo allargandone le opportunità. Ora, dopo la crisi economica iniziata nel 2008 vediamo meglio le contraddizioni di questo sviluppo che ampliando le opportunità fa stare meglio chi stava peggio e al tempo stesso abbatte parte del benessere conquistato a quelli che facevano parte del ceto medio produttivo, impoverito in Italia e negli altri Paesi Occidentali.
A ciò si aggiunge la crisi produttiva che ha penalizzato il lavoro e le capacità produttive a vantaggio della finanza internazionale e della rendita finanziaria.
Tutto ciò ha mostrato sul piano dimensionale e finanziario la debolezza del nostro tessuto produttivo fatto da piccole e medie imprese scarsamente capitalizzate, oltre che da un sistema bancario parcellizzato.
Va inoltre considerata la denatalità che unitamente all’invecchiamento della popolazione rende difficile mantenere in equilibrio il nostro sistema pensionistico alimentato dagli occupati a vantaggio di chi è in quiescenza con pensioni per la gran parte dei casi basse.
Senza considerare i giovani che una volta formati vengono lasciati “scappare” dall’Italia e non sono trattenuti con la creazione di opportunità.
Dobbiamo poi considerare l’epoca della politica liquida e della disintermediazione degli interessi che rifuggiva i “corpi intermedi” promuovendo il leaderismo ed il personalismo autoreferenziale in politica.
Un sistema che non favoriva la partecipazione ma l’isolamento attraverso i social con l’illusione dell’egualitarismo nella critica politica.
La società italiana si è incattivita per effetto della crisi divenendo più individualista e paurosa.
Si è creata la distanza tra città e periferia, tra le istituzioni e i cittadini, oltre che tra generazioni e chi stava bene e chi stava male.
La crisi non ha salvaguardato nemmeno il mondo della cooperazione che tolta la Grande Distribuzione Organizzata ed il settore dei servizi e della logistica ha per il resto risentito enormemente della crisi.
Senza considerare l’alto debito pubblico e l’alta spesa pubblica in un Paese come l’Italia in cui crescevano le povertà e la disoccupazione ed in particolare la disoccupazione giovanile ed il precariato.
In questo clima si è fatta la riforma pensionistica durante il Governo Monti che ha creato il fenomeno degli “esodati” e la riforma costituzionale bocciata il 4 Dicembre 2016.
Ricordo che la riforma Fornero è stata votata da tutto il Parlamento fatta eccezione per la Lega e senza alcuna protesta sociale nelle piazze.
A ciò aggiungiamo l’avanzare della Gig economy (che non produce lavoro tutelato e non redistribuisce ricchezza), la robotizzazione e la intelligenza artificiale, i Big Data, le stampanti 3D…. Processi che richiedono più scolarizzazione e più formazione tecnica che in Italia è in crisi di iscrizioni, nonostante l’enorme domanda di tecnici specializzati per essere all’altezza della competizione. La tecnologia può superare posti di lavoro per effetto della automazione ma ne crea altri di alta gamma e specializzazione. Bisogna attrezzarsi per competere.
Tutto ciò ha preceduto l’enorme sconfitta ampiamente annunciata per la sinistra e per il PD del 4 Marzo 2018.
Serviva una rivoluzione liberale basata sulla concorrenza nei mercati a vantaggio dei consumatori e meno bonus e più crescita industriale.
Bisogna allargare la capacità produttiva per allargare la base imponibile e la capacità di pagare tasse progressive e non fare la flat tax che porta vantaggio solo a chi è più ricco e non è automatico che reinvesta la propria ricchezza nel Paese che l’ha prodotta.
L’altro grande tema è la riforma della scuola. Il Governo Renzi grazie alla “buona scuola” ha stabilizzato tantissimi insegnanti precari e con i concorsi ragazzi appena laureati, a discapito di precari storici. Si sono coperti 60 – 70.000 posti vacanti a fronte di una necessità di 120.000 e con l’algoritmo si sono mandati a nord insegnanti precari del sud e viceversa a seconda delle disponibilità in base alle materie insegnate ed in base alla disponibilità degli istituti. Ecco, noi su questo, nonostante facessimo una cosa utile ci siamo giocati il consenso degli insegnanti.
Aggiungo altre questioni, che credo siano da approfondire in un momento storico in cui rischiamo di vedere aumentata l’Iva dal 22% al 25% comprimendo i consumi proprio quando andrebbero favoriti. Come faremo a pagare il welfare, la sanità e a favorire gli investimenti pubblici in un Paese dall’alta pressione fiscale e dall’alta evasione fiscale?
Un altro problema è quello delle liste di attesa in sanità. Processo che favorisce la sanità privata a svantaggio della sanità pubblica che dà anche la possibilità ai primari degli ospedali pubblici di sviluppare la cosiddetta intramoenia. Ecco, come risolviamo questa problematica rendendo omogenea sul piano della qualità pubblica la sanità del nord e quella del sud e non un sistema sanitario legato all’efficienza e alla qualità delle regioni più forti e più produttive?
Dovremo poi rafforzare il welfare familiare per sgravare maggiormente il peso del compito di cura alle persone non autosufficienti che grava per la maggior parte dei casi sulle famiglie.
Un ulteriore problema legato al turismo è mosso dal fatto che abbiamo strutture piccole e poco competitive finanziariamente perché date in affitto sul piano della gestione e manca un progetto per rafforzare la nostra capacità turistica ricettiva sul piano della competitività delle strutture.
Per non parlare della problematica istituzionale. Cosa succede dopo il referendum costituzionale rispetto alla riforma Del Rio sulle Province?
Come proseguiamo la riforma della PA dopo il grande contributo della riforma Madia?
Come si esplica la dura opposizione del PD oltre ai ‘pop corn’ visto che il Governo Di Maio – Salvini ha avuto una lunga gestazione di quasi tre mesi e da quando è nato ha fatto solo campagna elettorale e zero provvedimenti (l’unico atto votato ha riguardato il Tribunale di Bari)?
Le questioni, i temi, alcune delle problematiche che dovrebbero essere oggetto del futuro Congresso del Partito Democratico.
Il PD non può attendere ulteriormente.
Non possiamo permetterci gruppi dirigenti fermi, appiattiti sulle proprie rendite di posizione a salvaguardia di interessi di bottega di corto respiro, per i propri destini personali.
Manca una discussione profonda, capace di non rimuovere la sconfitta e che faccia i conti con la realtà superando la “logica dello struzzo”.
Occorre azzerare per ripartire, non dobbiamo salvare il ceto politico del PD ma il PD.
La scissione tra PD e LeU ha indebolito la sinistra e le alleanze di centro sinistra che peraltro non avevano un’anima.
Il centro sinistra si è prima diviso alle politiche del 4 Marzo e poi riunito in molti casi nelle singole tornate amministrative. Si sono sommate forze politiche senza delineare l’identità politica di un progetto amministrativo o di Governo. Si sentivano più i distinguo che i punti di una proposta forte, mentre i 5 stelle e la Lega erano chiari da una parte sul “reddito di cittadinanza” e dall’altra sul no alla Fornero e sull’”aiutiamoli a casa loro”.
La proposta del PD ha rivendicato i 100 punti delle cose fatte al Governo e le tante cose ancora da fare, senza minimamente caratterizzarsi su nulla.
Ora, ad esempio, emergono molte contraddizioni nelle proposte di Governo e ne cito alcune:
– Come si fa a conciliare il nord che votava Lega per non assistere il sud con il sud che vota Lega e 5 stelle chiedendo il reddito di cittadinanza?
– Come si fanno a conciliare gli interessi degli imprenditori del Nord che chiedono aperture per interessi commerciali verso la Russia con un Salvini che appoggia Trump sul protezionismo economico?
– Come si fa a garantire la tenuta dell’Europa fortemente compromessa se l’Italia si isola e non chiarisce la propria posizione verso l’Europa e verso la tenuta e la difesa dell’Euro?
Tutto ciò mentre il Presidente della BCE Draghi dovrà chiudere i rubinetti del cosiddetto “quantitative easing” che sono serviti fino a qui per acquistare i titoli di debito degli Stati.
Non voglio ricordare poi i recenti attacchi da parte dei Ministri leghisti sui Diritti Civili così tardivamente conquistati.
Bene, io chiedo il Congresso per non andare oltre il Partito Democratico ma per rilanciarlo e rifondarlo.
Siamo passati dall’annullamento dell’iniziativa del Partito divenuto semplice appendice o megafono acritico dell’azione di Governo ad un automatismo partito – istituzioni.
Ora ad esempio dopo la sconfitta di Imola dopo 70 anni di Governo di centrosinistra la Lega ed i 5 stelle attaccheranno il buon governo dell’Emilia Romagna che da solo non basterà per rivincere le elezioni del prossimo anno.
Rischiamo di avere tutti contro, dai 5 stelle alla Lega, al centrodestra e di isolarci nella nostra riserva consolatoria. Siamo riusciti a creare le premesse per assommare i diversi elettorati contro di noi nei ballottaggi.
Il Governo della Regione Emilia Romagna non è dato solo dalla qualità dei singoli provvedimenti o dalla qualità dei suoi servizi ma dalla sua anima e dal valore della coesione sociale.
Dal fatto di tenere insieme il mondo del lavoro e dell’impresa, la cultura, la cooperazione, la sanità. Dal fatto di garantire la redistribuzione della ricchezza, le infrastrutture ed il benessere diffuso.
Ecco, tutto questo rischia di essere compromesso con l’attacco al cosiddetto “sistema di potere”, banalizzando il buon governo del centro sinistra e riducendolo ad establisment e ad un sistema di potere chiuso, poco trasparente e da abbattere – a detta di Di Maio e Salvini -.
Noi non possiamo rimanere fermi e dobbiamo rilanciare il Partito Democratico ed il nostro Governo regionale riconnettendolo ai problemi, al territorio, alle imprese, al mondo reale.
Non dobbiamo promuoverci da soli perché facciamo le cose al meglio ma dobbiamo costruire il riformismo dal basso (partecipato orizzontalmente) e non calato dall’alto in maniera verticistica. Solo così le riforme sono forti se nascono tra le persone come ha detto Nicola Zingaretti.
Non dobbiamo tornare ai Partiti del ‘900 o rimpiangere il PD ed il centrosinistra del 2008 o del 2013 ma rilanciare un nuovo progetto aperto alla società, alle associazioni, alle singole personalità, alle forze economiche, politiche, sindacali che ci stanno ed al civismo più diffuso.
Non dobbiamo salvare un gruppo dirigente che ci ha condotto alla sconfitta o un ceto politico cambiando semplicemente e in maniera trasformista la casacca rispetto alla fase nuova che si dovrà necessariamente aprire ma azzerare l’attuale gruppo dirigente per costituirne uno nuovo a partire dai territori così da salvare il PD, la sua gente e la buona politica che è quella che si fa insieme.”
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