Una visita al Macfrut a Riminifiera, dove ho incontrato diversi operatori del settore
I dati ci dicono che il sistema agroalimentare dell’Emilia-Romagna ha saputo resistere anche nell’anno del Covid, vedendo crescere del + 8%, su base annua, il valore complessivo della produzione agricola regionale (che ha superato i 4,5 miliardi di euro) e aumentare l’occupazione agricola (+ 13%, 82 mila unità). Ha confermato così la rilevanza del settore primario per la tenuta sociale del territorio, nel periodo più difficile dal secondo dopoguerra.
Tuttavia, l’impennata dei costi di produzione ha visto ridurre il guadagno dell’agricoltore anche nelle filiere traino dell’economia e delle esportazioni del Paese, come quella del latte (+20% di Plv) che vede nel 2020 la più alta produzione di Parmigiano-Reggiano mai raggiunta, pari a 3,95 milioni di forme, e quella dei cereali (+11,6% di Plv) grazie all’aumento delle rese e delle quotazioni, e a soddisfacenti contratti di coltivazione del grano duro e tenero.
Il valore dell’export agro-alimentare dell’Emilia-Romagna ha rappresentato nel 2020 il 16% di quello nazionale e si contraddistingue per la varietà e la qualità delle produzioni. A livello regionale, il credito agrario si è mantenuto sui medesimi livelli dell’anno precedente, confermandosi uno strumento importante per integrare l’auto-finanziamento delle imprese agricole ma anche per fare fronte, almeno in parte, alle difficoltà generate dalla pandemia. Numerose sono state le iniziative regionali indirizzate al sostegno delle imprese del sistema agro-alimentare per contrastare la crisi determinata dal Covid-19. Contributi specifici sono stati concessi ad alcuni comparti particolarmente colpiti, come ad esempio quelli relativi alle attività agrituristiche e per la diversificazione aziendale (quasi tre milioni di euro), nonché per il settore della pesca nelle acque interne. Risorse regionali straordinarie sono state stanziate per l’attivazione dei fondi integrativi di Stato per i “progetti di filiera” e per gli aiuti integrativi agli “investimenti per la riduzione dei gas serra”, nonché per il sostegno alla coltivazione della barbabietola da zucchero. Importanti sono state anche le proroghe alla scadenza di termini procedimentali, la semplificazione delle procedure di liquidazione e la fornitura di liquidità alle aziende.
Nel corso delle varie revisioni annuali i prodotti agroalimentari tradizionali descritti e inseriti nell’elenco regionale sono passati da 74 nel 1999 a 398, a testimonianza della grande ricchezza che caratterizza la nostra Regione.
La ventunesima revisione annuale convalida 398 denominazioni dei prodotti emiliano romagnoli.
Le province più vivaci come numero di denominazioni sono: Piacenza con 101 e Forlì-Cesena con 98. Sono poi 84 quelle che riguardano Reggio Emilia e 43 Rimini; seguono Bologna con 26 e Modena con 25, 21 a Parma poi Ferrara con 15 e Ravenna a quota 14. Poiché alcune denominazioni sono comuni a più province, in questo caso il totale supera i 400 prodotti.
L’Emilia-Romagna si conferma al primo posto dell’agroalimentare italiano di qualità, con tre province sul podio per impatto economico dei prodotti Dop e Igp (44 in tutto): Parma, Modena e Reggio Emilia. Tra questi prodotti si ricordano la piadina romagnola, lo squacquerone, l’aceto balsamico, il parmigiano reggiano e molti altri.
Gusti e sapori che ci hanno resi celebri in tutto il mondo e che contribuiscono anche a tenere salde le basi economiche della nostra regione e dell’intero Paese.
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