Una bella serata con gli amici dell’associazione ‘Zeinta de Borg’ di Rimini
Ci tengo a ricordare velocemente l’impegno messo in campo dalla Regione Emilia-Romagna, di concerto con l’Assemblea Legislativa che io in qualità di Presidente ho l’onore di rappresentare, per la realizzazione del nuovo sportello Rimini Rete Donna volto a favorire l’accesso femminile nel mercato del lavoro, ridurre le disparità salariali tra uomo e donna e a promuovere progetti di welfare aziendale.
Un percorso avviato a dicembre dello scorso anno da Viva Rimini, in collaborazione con ‘Zeinta di Borg’ e ‘Rompi il Silenzio’, che si inserisce nel tessuto sociale ed economico della nostra città, al fine di renderla sempre più inclusiva, plurale, equa, giusta e competitiva.
E’ anche grazie al vostro impegno e alla vostra sensibilità, unita alla proverbiale testardaggine riminese, se il nostro territorio vanta un tasso occupazione femminile e un numero di imprese a guida delle donne superiore alla media nazionale, frutto di un corollario di azioni e attenzioni da parte di pubblici e privati che in questi anni hanno dimostrato di saper lavorare in sinergia tra loro e produrre risultati concreti per la comunità.
Viviamo in un Paese per molti aspetti ancora arretrato per quanto riguarda la cultura e le misure che rendono effettiva la parità di genere, in tutti gli ambiti, da quello lavorativo, familiare e sociale.
Riconoscere l’esistenza di questa ferita, di questa profonda diseguaglianza in termini di opportunità tra donne e uomini, è il primo passo da compiere per combatterla. Differenze di salario rispetto ai colleghi uomini, maggiori ostacoli nel far carriera e ricoprire ruoli di vertice, più difficoltà nel far conciliare la vita lavorativa con quella familiare, una disoccupazione ancora troppo elevata se paragonata a quella maschile. Una oggettiva discriminazione nell’accesso al mondo produttivo confermata puntualmente, come un orologio svizzero, da dati poco rosei che fanno emergere un contesto in cui purtroppo le Pari opportunità hanno ancora molta strada da fare. È notizia recente che, nel 2019, si sono dimesse dal lavoro, in Italia, 37 mila neo mamme. Un dato preoccupante che – quando escono statistiche relative alla situazione donne e lavoro – fa suonare più campanelli d’allarme.
Una tendenza dalle dimensioni già di per sè preoccupanti che, a seguito delle conseguenze economiche e sociali legati all’emergenza sanitari del Coronavirus, rischia di aggravarsi enormemente perché, a differenza di una prima lettura semplicistica circolata all’inizio della pandemia, sappiamo bene una cosa: con le crisi a rimetterci prima di tutti sono sempre le persone già più in difficoltà, a partire in questo caso dalle donne lavoratrici, per non parlare poi delle madri che lavorano. Questo non significa doversi piangere addosso, ma, al contrario, agire perché le cose cambino e vi sia una inversione di rotta.
FOCUS SU CODICE ROSSO
Al tema delle difficoltà relative all’ingresso, alla permanenza e alla possibilità di carriera all’interno del mercato del lavoro, si affianca anche la piaga sociale della violenza di genere, la cui ampiezza e drammaticità spesso non viene colta, a causa anche dei tanti casi che purtroppo rimangono sottaciuti, complice spesso la reticenza di molte donne a denunciare tali soprusi e vessazioni quando presenti. Il ruolo delle istituzioni è centrale in questo. Sono le istituzioni che devono ispirare fiducia alle donne a denunciare e non rimanere in silenzio, ad alzare la cornetta del telefono e chiedere sostegno, sia per la loro salute, che per proteggere i loro figli. Questo è senza dubbio l’obiettivo primario della politica e di chi ricopre determinati ruoli: una grande operazione di sensibilizzazione che faccia capire alle vittime che le istituzioni sono al loro fianco e che al contempo eserciti un ruolo di primo piano nelle scuole, affinchè le ragazze e i ragazzi, siano abituati fin da giovanissimi a una cultura del rispetto di genere e avulsa da pregiudizi sul ruoli maschio-femmina. In Emilia-Romagna abbiamo lavorato molto sia a stretto contatto con gli istituti scolastici e con le giovani generazioni, sia per estendere e potenziare la rete di protezione, ascolto e accoglienza verso le donne con 23 centri di accoglienza, 43 case rifugio e 15 centri di trattamento per gli uomini maltrattanti diffusi sul territorio regionale. E’ stato fatto tanto, e anche i dati, che ogni anno fanno emergere casi in aumento, da un lato ci mostrano in maniera plastica la vastità e gravità del fenomeno, dall’altro, però, ci dicono che le donne trovano sempre di più il coraggio di chiedere aiuto e uscire allo scoperto.
Con il Codice Rosso, il disegno di legge che modifica il codice di procedura penale sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, sono state introdotte pene più pesanti in casi di violenza sessuale e stalking e vengono introdotti i reati di revenge porn e sfregi al viso oltre allo stop ai matrimoni forzati.
DENUNCE E INDAGINI – La polizia giudiziaria dovrà comunicare al magistrato le notizie di reato di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate avvenute in famiglia o tra conviventi. E la vittima dovrà essere sentita dal pm entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato.
VIOLENZA SESSUALE – Le pene salgono a 6-12 anni rispetto a oggi, quando la reclusione minima è di 5 anni e quella massima di 10. La violenza diventa aggravata in caso di atti sessuali con minori di 14 anni a cui è stato promesso o dato denaro o qualsiasi altra cosa utile.
STALKING – La reclusione passa dai 6 mesi-5 anni com’è oggi, al range del minimo di un anno al massimo di 6 anni e sei mesi.
BOTTE IN FAMIGLIA – Per maltrattamenti contro familiari o conviventi, la reclusione passa dagli attuali 2-6 anni a 3-7 anni; la pena è aumentata fino alla metà se il fatto avviene in presenza o ai danni di un minore, di una donna in gravidanza, di un disabile oppure se l’aggressione è armata.
SFREGI – Il codice penale si arricchisce di un articolo sui casi di aggressione a una persona, con lesioni permanenti al viso fino a deformarne l’aspetto. Il responsabile è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. Se lo sfregio provoca la morte della vittima, scatta l’ergastolo. E per i condannati sarà più difficile ottenere benefici come il lavoro fuori dal carcere, i permessi premio e le misure alternative.
STOP ALLE NOZZE FORZATE – Introdotto grazie a un emendamento di Mara Carfagna, punisce chi induce un altro a sposarsi (anche con unione civile) usando violenza, minacce o approfittando di un’inferiorità psico-fisica o per precetti religiosi. La pena va da uno a cinque anni, sale a 2-6 anni se coinvolge un minorenne ed è aggravata della metà se danneggia chi non ha compiuto 14 anni al momento del fatto.
STOP AL REVENGE PORN – Chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda foto o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito di una persona senza il suo consenso, rischia da uno a sei anni di carcere e una multa da 5000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o acquisito le immagini, le invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso dell’interessato per danneggiarlo. La pena viene aumentata se l’autore della vendetta è il coniuge (anche separato o divorziato), un ex o se i fatti sono avvenuti con strumenti informatici.
Un provvedimento in cui a mio avviso mancano risorse aggiuntive per la formazione delle forze dell’ordine sul tema sul personale giudiziario, oltre al termine troppo rigido dei tre giorni entro cui il PM deve ascoltare la donna che ha denunciato la violenza e all’assenza di una strategia di cambiamento culturale, come hanno sottolineato proprio le donne che si occupano ogni giorno delle vittime di violenza.
Insomma i passi da avanti da fare sono ancora tanti, purtroppo, anche se si colgono miglioramenti. Serve un grande impegno culturale.
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