A Rimini, per parlare della grande sfida della riorganizzazione territoriale

Con grande piacere oggi ho partecipato a questo terzo e ultimo appuntamento del ciclo di conferenze “I venerdì dell’urbanistica” dal titolo “La pianificazione territoriale: Osvaldo Piacentini e il Piano intercomunale riminese (1974)” organizzato dall’ordine degli architetti della provincia di Rimini. Guardando anche ai contenuti delle prime due giornate di lavori che si sono tenute nelle settimane scorse penso che sia stato sicuramente un momento importante di rivisitazione storica delle principali vicende che hanno riguardato le politiche di governo del territorio riminese, inteso non solo come Comune di Rimini ma anche come territorio più vasto che comprendesse l’intera provincia.

Passaggi fondamentali, scelte strategiche ed anche la voglia di affrontare insieme delle sfide che in tutti questi decenni hanno caratterizzato la crescita del nostro territorio determinando molte scelte di cui ancora oggi possiamo vederne gli effetti. Oggi infatti avete affrontato la vicenda del PIC, del piano intercomunale, che ha proprio messo in evidenza la valenza sovracomunale della programmazione territoriale e che, come dice bene il “titolo” che avete dato alla giornata odierna ha, in qualche modo, anticipato quel concetto di area vasta di cui oggi sentiamo tanto parlare e che questa terra, non solo Rimini ma anche nell’accezione della Romagna, ha poi attuato su tante politiche, a partire da quella dei trasporti, a quella sanitaria al governo delle acque.

Non è ovviamente mio compito oggi entrare nel merito delle questioni e delle vicende tecniche, perché penso che la mia presenza qui oggi abbia un altro significato, che è quello di poter socializzare con voi una riflessione più ampia su quella che è la prospettiva per il nostro territorio e per le nostre amministrazioni negli anni futuri, anche alla luce dei grandi cambiamenti che si stanno verificando. Non sfugge a nessuno che negli ultimi due decenni abbiamo attraversato uno sviluppo tecnologico importante, uno sviluppo che ha cambiato le nostre abitudini, che ha cambiato il nostro modo di rapportarci con gli altri e, conseguentemente, ha anche cambiato la modalità dei nostri rapporti con il mondo esterno.

Abbiamo oggi una velocità di interazione assolutamente più elevata e penso che la difficoltà che ci troviamo davanti noi che ci occupiamo di pubblica amministrazione sia quella di mettere in campo tutte quelle azioni che ci consentono di aumentare la competitività del nostro territorio in contesti globali del nostro sistema economico e sociale. Non è stato semplice in questi anni cercare di captare quale potesse essere la dimensione territoriale ottimale e corretta per affrontare questa importante sfida. Non sfugge che in questa precisa fase storica di profonda riforma del sistema istituzionale regionale e locale.

Abbiamo ritenuto fondamentale provare a immaginare sistemi amministrativi che siano in grado di superare i confini territoriali storici che troppo spesso rappresentano solo un segno sulla carta geografica ma che, effettivamente, ai nostri giorni non hanno più una piena aderenza né con le dinamiche sociali, né a quelle economiche e neanche a quelle sociali e culturali e soprattutto territoriali. In questi elementi bisogna leggere un legame stretto fra l’attuale fase storica e la necessità del territorio della nostra regione di rapportarsi con un sistema globale.

Fu proprio questa, a suo tempo, la brillante intuizione dell’elaborazione del Pic della romagna, che ebbe il pregio di capire che la dinamica territoriale rappresentata dal confine comunale potesse non solo essere stretta ma addirittura dannosa nella determinazione delle scelte politiche strategiche di più ampio respiro. Sempre nella situazione attuale caratterizzata da una economia globale, assume rilievo la dimensione dell’elaborazione di politiche di sviluppo che forse dimostrano anche la inadeguatezza dei confini provinciali attuali. È proprio nel governo delle politiche di competenza regionale è necessario che mettere dei punti fermi che hanno assunto ormai, in questi anni, il valore anche strategico che meritano connotato anche dalla mancanza, ormai cronica, di una puntuale e innovativa legislazione nazionale.

Proprio partendo da queste premesse è nata l’idea del PIC, che oggi deve necessariamente essere reinterpretata e riadeguata ai tempi, data la sua natura di piano intercomunale per la programmazione urbanistica. Questa tipologia di atti di programmazione è stata fondamentale nella nostra regione, non solo per la mera pianificazione territoriale, ma ha consegnato al nostro territorio strumenti di dialogo, di discussione, di interazione e di integrazione che sono stati, via via, declinati in tutte le politiche comunali e più in generale nel governo dello sviluppo socio
economico delle nostre comunità.

Anche in questo il sistema dell’Emilia-Romagna rappresenta un unicum a livello nazionale. L’insieme delle riforme messe in campo da questa regione sin dall’inizio della legislatura, in coerenza con l’insieme delle riforme nazionali, ha da subito mirato a rinnovare il sistema e gli strumenti di gestione e di programmazione nel suo complesso. Mi riferisco alle profonde innovazioni introdotte dalla Legge Regionale 13 del 2015. Abbiamo affrontato il percorso che mirava al superamento delle Province, ideando nuovi scenari e nuovi percorsi che hanno mantenuto la loro validità anche all’indomani della mancata approvazione della riforma Costituzionale.

La legge 13 ha dato un nuovo e speriamo quasi definitivo assetto alle funzioni degli enti territoriali, abbiamo creato, con non pochi problemi un sistema coordinato di gestioni di rilevantissime funzioni che prima erano svolte dalle Province e per quota parte anche dalla Regione, mi riferisco alla creazione dei c.d. Centri di competenza interistituzionale che sono l’ARPAE, l’Agenzia per la protezione civile e infine la neo-nata Agenzia regionale per il Lavoro. Il sistema fortemente indebolita da una legislazione di crisi e con profondi tagli alle risorse economiche, ha visto una proposta da parte della Regione che è in grado di attenuare grandemente tali debolezze.

Mi riferisco alla creazione delle c.d. aree vaste funzionali che rappresentano la vera innovazione, sicuramente una delle più rilevanti, contenuta nella legge 13. La costruzione delle aree vaste deve avvenire dal basso attraverso proposte che provengono dai territori. La legge 13 ha posto le premesse, a partire dalle quali, insieme, Regione e territori devono proseguire nel percorso intrapreso con la sottoscrizione del Patto interistituzionale del 22 maggio 2015. In quel Patto abbiamo affermato, tutti insieme, che i protagonisti debbano essere i territori. Ed è per questo che si è prevista la possibilità, su iniziativa delle province interessate, di individuare quali funzioni esercitare in forma associata, attraverso lo strumento della convenzione.

L’idea guida prevedeva un percorso secondo cui le riforme in atto perseguono anche la tendenziale riduzione dei livelli amministrativi in un’ottica di semplificare e razionalizzare il sistema di governo locale e, più in generale, gli apparati amministrativi. Come riflesso del diverso ruolo che progressivamente la stessa Regione dovrà assumere nella governance territoriale, specularmente ad alle scelte compiute dalla legge 13, il legislatore statale – con il decreto c.d. “enti locali” (n. 78 del 2015) – riconosce alle Regioni la possibilità di prevedere ambiti territoriali comprensivi di due o più enti di area vasta (quindi le Province) per l’esercizio associato tra loro di funzioni conferite alle province, tramite accordi tra gli enti interessati e d’intesa con la regione, e prevedendo altresì il ricorso anche ad “organi comuni” per garantire tale esercizio.

Per noi questo significa costruire aree vaste di natura aprendo ad una logica più moderna e più aderente alla realtà materiale dei territori. Una logica, quindi, fondata sulla rete delle relazioni tra territori realmente esistente. È ovvio che la Romagna, da molto tempo, sta dando prova della grande capacità aggregativa, anche in ragione delle capacità politiche che da sempre hanno puntato alla coesione ed all’integrazione dei sistemi. Infatti non da ora, alcuni rilevantissimi servizi nei territori sono oggetto di gestione associata tra tutti i territori di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, – ne cito solo alcuni – in ambito sanitario, l’aggregazione che ha portato all’Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna; nell’ambito dei servizi idrici integrati, attraverso la creazione della società “Romagna acque”, nell’ambito dei servizi di trasporto pubblico locale, attraverso la Società unica Start Romagna. In questo solco, si è inserita la convenzione-quadro approvata – da parte dei consigli delle tre province di Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna – per dare avvio alla gestione associata di alcuni servizi provinciali. All’interno di questo pannel di servizi, le tre province avevano previsto di avviare la gestione associata delle funzioni relative alla tutela e uso del territorio, sportello unico per le attività produttive e semplificazione amministrativa, nonché in materia di turismo. Questo, in particolare per il turismo, è perfettamente in linea con le innovazioni introdotte con la l.r. n. 4 del 2016 relativamente alla costituzione delle cc.dd. “destinazioni turistiche”. Nella cornice della convenzione anzidetta, stanno vedendo la luce le prime convenzioni attuative destinate a dare concreta operatività all’integrazione al fondamentale primo passaggio organizzativo che è l’integrazione tecnica dei servizi relativi alla gestione informatica.

Tassello fondamentale per razionalizzare le attività amministrative anche attraverso l’omogenizzazione tra i vari enti dei software utilizzati. L’accordo fra i territori è la condizione politica istituzionale che darà al sistema tutto la possibilità di esprimere, anche in questa occasione, un’innovazione sostanziale nel governo territoriale, con caratteristiche tali da far progredire il sistema verso i nuovi obiettivi e verso nuove progettualità. Arrivando, poi, alla nuova legge urbanistica regionale, la n. 24 del 2017, che ha profondamente innovato sia la logica alla base dell’urbanistica e sia la strumentazione tecnica e normativa per attuarla. Proprio prendendo ad esempio questa legge, sottolineo come la nuova disciplina evidenzia sempre più la necessità di realizzare un sistema, anche amministrativo, forte e in grado di procedere nella nuova direzione tracciata. Innanzi tutto viene valorizzata la necessità che le amministrazioni, specie quelle comunali si mettano “insieme” per poter meglio gestire e intercettare l’evoluzione profonda delle dinamiche territoriali e delle componenti sociali.

Le amministrazioni, per riuscire ad attuare gli ambiziosi obiettivi della legge urbanistica dovranno essere in grado di acquisire nuove competenze tecniche orientando sempre più la propria azione verso la rigenerazione e per sviluppare un nuovo approccio alle esigenze della collettività, orientando sempre più i propri sforzi verso un meccanismo concertativo avviando una nuova stagione di dialogo e confronto tra pubblico e privato. La legge mira ad elevare significativamente le funzioni delle unioni di comuni e in generale tende ad elevare i processi di pianificazione e di programmazione ad un livello sovracomunale, che sia in grado di integrare le competenze amministrative e che sia in grado di aprire a percorsi di effettiva partecipazione della cittadinanza.

Proprio per questo, la nuova legge, nell’ambito dei processi di avvio di adeguamento degli strumenti urbanisti comunali da attuarsi entro i prossimi 5 anni la Giunta regionale provvede ad attivare “percorsi sperimentali agevolati attraverso specifiche convenzioni o altre forme di collaborazione con gli enti locali e le Unioni di Comuni. Infatti, dal 2018 abbiamo previsto la messa in disponibilità di specifiche risorse che saranno destinate alla formazione di nuovi strumenti urbanistici mi riferisco appunto alla elaborazione del c.d. piani intercomunali.

Questo è un punto focale, e probabilmente garantirà meglio le realtà di più piccole dimensioni per le quali risulterebbe pressoché impossibile sostenere i costi dell’elaborazione di un nuovo piano urbanistico. In particolare la legge regionale, dispone puntualmente la possibilità di erogare i contributi previsti dalla Regione, per favorire l’adeguamento verso i nuovi Piani Urbanistici Generali (PUG), dando priorità proprio ai piani redatti dalle Unioni che esercitano la funzione di pianificazione proprio attraverso l’incentivazione della costituzione di Uffici di piano associati i cui standard “minimi”, in termini di dotazione di personale e di strumentazioni, sono definiti dalla Giunta con sui appositi atti. In estrema sintesi la Regione ha inteso sostenere in modo significativo l’unificazione della funzione riconoscendola e valorizzandola anche nel prossimo Programma di Riordino Territoriale.

Chiudo su quello che rischia di diventare un terreno molto tecnico e non abbiamo il tempo di affrontare temi che, se affrontati in maniera troppo superficiale e rapida, rischiano di non avere troppa rilevanza. Faccio solo un brevissimo cenno ad un altro strumento fondamentale della pianificazione regionale che è il PRT di cui ho detto poco fa. Abbiamo svolto un percorso molto partecipato con gli attori del mondo degli enti territoriali che poi sono i destinatari diretti delle decisioni che assumiamo in Giunta, e proprio pochi giorni fa abbiamo presentato, in un incontro molto partecipato, gli esiti del lavoro svolto dai gruppi di lavoro: sul tema degli incentivi alle Unioni in una materia fondamentale come l’urbanistica, si è condivisa la proposta di articolare il sistema di incentivare il più possibile del trasferimento delle funzioni di pianificazione e di gestione del territorio, dai Comuni alle Unioni, distinguendo tre diverse aree funzionali: in primis la Funzione Pianificazione urbanistica, poi la gestione del SUE (sportello unico edilizia) e del SUAP (Sportello unico attività produttive) unite alla fondamentale funzione di gestione della sismica.

Ovviamente il massimo, che possiamo pretendere solo dalle Unioni più mature e strutturate, sono le altre Funzioni di gestione del territorio come l’ufficio lavori pubblici, l’ufficio espropri, la gestione della viabilità. Vorrei a questo punto fare una connessione ad un altro aspetto delle politiche che la regione da diversi mesi sta seguendo con grande intensità e di cui sono più direttamente responsabile in qualità di Assessore alle riforme istituzionali. Il tema di cui vorrei parlarvi è quello che riguarda il regionalismo differenziato e l’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione. In breve vi dico solo che il percorso è ora giunto ad un significativo livello di sviluppo. È indubitabile, infatti, che soprattutto l’iniziativa dell’Emilia-Romagna, insieme a quelle di Lombardia e Veneto, ha avuto il pregio di riaprire il dibattito sul futuro del regionalismo italiano.

Anche in vista dell’imminenti consultazioni elettorali, è necessario inserire nell’agenda politica il rinnovo di percorsi e l’elaborazione di programmi anche sul tema delle politiche istituzionali a partire proprio dalle autonomie territoriali. Questa può essere, lo voglio dire molto chiaramente, l’occasione sia per sperimentare un nuovo sistema di valorizzazione delle peculiarità dei territori accompagnato a nuove modalità e a nuovi paradigmi per il finanziamento delle funzioni territoriali. La logica di questa azione deve comunque concretizzarsi avendo a mente la prospettiva, ben più ampia, che si è sviluppata con la proposta dell’Emilia-Romagna.

La centralità che tornano ad assumere i temi delle autonomie territoriali è efficacemente testimoniata, del resto, dalla rapida diffusione di iniziative analoghe in altri contesti regionali. Non mi riferisco solamente alle iniziative di Lombardia e Veneto, precedute, come ben sappiamo, da importanti consultazioni referendarie, ma anche a quelle, recentissime, intraprese da Liguria e Piemonte. Si tratta, in ogni caso, di Regioni, queste, che al di là delle diverse tradizioni politiche, esprimono con forza l’esigenza di superare il disagio che le forme di centralismo statale,
prodotte nell’ultimo decennio dalla c.d. legislazione di crisi, hanno generato anche nei contesti regionali più “virtuosi” e nei relativi sistemi delle autonomie territoriali.

In buona sostanza, l’iniziativa promossa dall’Emilia-Romagna nel ricercare un equilibrio tra peculiarità e specificità territoriali accompagnata a valori unitari della Repubblica, intende sviluppare una competizione positiva che renda le istituzioni capaci di innescare processi virtuosi, sperimentando soluzioni di governo più innovative e funzionali che, a tempo debito, potranno essere estese anche alle altre regioni. Quanto allo scenario più generale, voglio sottolineare che proprio la scorsa settimana, l’Assemblea Legislativa della regione ha approvato la risoluzione definitiva con cui si è dato mandato al Presidente di sottoscrivere con il Governo l’Intesa-Quadro, oltre all’autorizzazione a proseguire il negoziato con il Governo che si insedierà dopo le elezioni del 4 marzo su ulteriori materie su cui fare la da gestire direttamente. È ben evidente quanto è delicato l’intreccio politico-istituzionale di questa fase, nella quale, peraltro, una delle Regioni proponenti, cioè la Lombardia, come noto, sta concludendo la sua Legislatura e andrà al rinnovo degli organi in concomitanza con le elezioni parlamentari del prossimo 4 marzo. Proprio in questo scenario, infatti, è maturata la decisione politica di far emergere e di dare sostanza formale al negoziato tra Governo e Regioni, sia pure di carattere preliminare, il cui completamento spetterà all’Esecutivo che si insedierà con la nuova Legislatura parlamentare. Per precisa scelta dell’Esecutivo regionale, in questa delicata vicenda istituzionale, un ruolo deciso svolgono le rappresentanze economico-sociali firmatarie del Patto per il lavoro (sono 50 i soggetti che hanno firmato il Patto). Ciò si coglie appieno se si considera il contributo di idee dato già nella fase preliminare di elaborazione dei primi indirizzi politici approvati dalla Giunta. E dunque a partire già dalle decisioni assunte il 28 agosto 2017.

Il negoziato si è incentrato su:
1) tutela e sicurezza del lavoro, istruzione tecnica e professionale;
2) internazionalizzazione delle imprese, ricerca scientifica e tecnologica, sostegno
all’innovazione;
3) territorio e rigenerazione urbana, ambiente e infrastrutture;
4) tutela della salute.

A queste materie si è successivamente aggiunta quella che mira a rafforzare i rapporti
della regione con l’Unione Europea. L’intesa preliminare infatti definirà, insieme alle materie, i principi generali e i criteri metodologici sulla cui base potrà il negoziato ulteriormente svilupparsi. La disposizione costituzionale di riferimento, infatti, non preclude la definizione di ulteriori e successive intese, fino all’adozione della legge parlamentare.

È ovvio che nel testo dell’Intesa preliminare saranno esplicitamente definiti i criteri tecnici per la definizione delle risorse finanziarie connesse all’esercizio delle ulteriori funzioni attribuite. Come noto, infatti, l’attribuzione alle Regioni di ulteriori spazi di autonomia è condizionata, per espressa previsione dell’art. 116, comma terzo, Cost., al rispetto dei principi di cui all’articolo 119 Cost. Quest’ultimo garantisce la necessaria corrispondenza tra funzioni e risorse, imponendo, al contempo, la salvaguardia dei principi perequativo e solidaristico. Mi fermerei qui, ringraziandovi nuovamente per l’invito alla partecipazione e auspicando che anche in futuro vi possano essere interessanti occasioni di confronto come questa.

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