In piazza Nettuno a Bologna, per le celebrazioni del 25 Aprile
In una bellissima piazza del Nettuno a Bologna si è parlato dei valori della Resistenza “oggi”: ponti e non muri, pace, solidarietà, tolleranza, il valore delle differenze, incontro, democrazia. Siamo l’Italia, popolo generoso, solidale, europeo e aperto al mondo. Non richiudiamoci nel recinto delle nostre paure.
Rivolgo un ringraziamento particolare al Sindaco Virginio Merola, per l’invito e un caloroso saluto alla Presidente Provinciale dell’ANPI Anna Cocchi, al partigiano e deportato Franco Varini, al rappresentante dell’ANPI di Todi Andrea Dominici ospite di questa città aperta e solidale, a tutte le autorità politiche, civili e militari presenti, e a tutti i cittadini di Bologna raccolti qui in piazza Nettuno, davanti al Sacrario dei Partigiani.
Sacrario nato spontaneamente, dopo il 21 aprile, giorno della Liberazione di Bologna, per opera delle donne che qui cominciarono a deporre fiori e ad affiggere foto sul muro esterno del Comune per ricordare il luogo, chiamato dai fascisti “posto di ristoro dei partigiani”, in cui furono fucilati molti resistenti.
E’ un grande onore per me celebrare, qui a Bologna, il 73° anniversario della Liberazione, in una terra che durante gli anni della dittatura fu ricca di sentimenti e di fermenti antifascisti, che ha vissuto con intensa partecipazione la guerra partigiana ed è stata teatro di fucilazioni, rappresaglie, battaglie aperte con i nazi-fascisti e di bombardamenti: i bolognesi ebbero numerosissime perdite di uomini e di donne che hanno sacrificato la loro vita per la lotta di liberazione, (e per tutto questo la Città fu insignita già nel 1946 della Medaglia d’oro al valor militare).
Questo nostro 25 Aprile non è semplicemente una ricorrenza da sentire e celebrare, non è semplicemente un tratto fondamentale e civile della storia italiana del ‘900, ma è una Festa di Popolo che ci parla dell’oggi, del nostro presente.
Dobbiamo infatti continuare a batterci contro le prevaricazioni di chi pensa di assoggettare al proprio volere, con la forza fisica, l’ideologia o il potere chi è più debole, soprattutto se è solo, e che non sempre trova la politica e le istituzioni al proprio fianco.
Quella generazione che scelse di non piegarsi rifuggendo e combattendo il facile, conveniente e silenzioso conformismo di chi pensava di potersi salvare piegandosi alla dittatura nazifascista e alle leggi razziali, ci ha consegnato un Paese libero e democratico.
Quei giovani, uomini e donne resistenti, combatterono per affermare la libertà per tutti, consapevoli che non si sarebbe compiuta pienamente la libertà senza la democrazia e la partecipazione popolare, e senza l’uguaglianza nei diritti, nei doveri e nelle opportunità.
Dalla Resistenza è nata la nostra Costituzione e la nostra Democrazia Parlamentare. Dalla Resistenza sono nati i partiti popolari, che hanno radicato la vita civile attraverso la partecipazione democratica.
La differenza in questo Paese l’hanno sempre fatta le battaglie di civiltà, che hanno saputo divenire battaglie di popolo: penso alla Resistenza e alla lotta contro il terrorismo.
A muovere quelle generazioni, oltre alla speranza per un Paese di nuovo libero e non piegato, fu la volontà di affermare un futuro migliore, attraverso il progresso scientifico e tecnologico, l’accesso universale al diritto all’istruzione.
Chi oggi vuole minare questi valori ha uno strumento in più per influenzare le scelte dei cittadini in maniera subdola.
Nell’epoca moderna l’utilizzo della propaganda attraverso la diffusione delle false notizie grazie in particolare ad Internet, infatti fa leva, sulla velocità di diffusione e sulla difficoltà ad accertarne l’attendibilità per carpire la buona fede dei cittadini ed orientarne le scelte.
Le istituzioni devono difendere il diritto all’informazione, il diritto ad una istruzione libera, il diritto alla partecipazione democratica per tutti, devono difendere il diritto di associarsi tra persone, perché nessuno si salva da solo e solo assieme possiamo migliorare la vita di tutti, aiutandoci e rimboccandoci le maniche, come fecero le persone in questo nostro Paese, alla fine della seconda guerra mondiale.
Dobbiamo affermare i valori della Costituzione, il diritto al lavoro ed il diritto a tutele fondamentali, garantite attraverso lo stato sociale, l’accesso universale ad una sanità pubblica che funzioni e continui a non escludere chi ha meno, chi è più povero.
La crisi ha messo in discussione questi valori.
C’è stato un distacco tra la realtà delle persone e i diritti ed i valori richiamati dalla nostra Costituzione. Molte persone si sono impoverite e non hanno più visto una Repubblica in grado di rimuovere gli ostacoli che oggi producono disuguaglianze.
Le disuguaglianze sociali hanno alimentato la sfiducia ed allontanato le persone dalla politica, dalla partecipazione, dalle istituzioni.
Sta prevalendo una cultura individualista che accentua l’istinto di sopravvivenza, e che fa percepire i valori solidaristici come non vincenti in una società fortemente competitiva. La generazione che uscì dal dopoguerra grazie alla Resistenza, si riconobbe e si salvò proprio attraverso la solidarietà, punto di forza di piccole e grandi comunità. La Resistenza ci ha insegnato che nessuno si salva da solo e che abbiamo bisogno di unirci come popolo e riscoprirci italiani solidali ed europei.
Dalla Resistenza abbiamo creato le condizioni per costruire l’Unione Europea, una Unione non solo monetaria, ma una Unione di intenti, in cui i popoli europei si ritrovarono coesi nel costruire un futuro di pace, dopo secoli di conflitti e divisioni. Oggi questo aspetto è di una attualità disarmante.
Non possiamo assistere inermi al ritorno di sovranismi e nazionalismi, come stiamo vedendo accadere nei cosiddetti Paesi di Visegrad (rappresentati ad esempio dalla visione dell’Ungherese Victor Orban).
Non possiamo continuare ad assistere inermi alla guerra tra poveri, alimentata dalla paura verso l’immigrato. Abbiamo visto masse enormi di persone fuggire da guerre, da povertà, da cambiamenti climatici, da carestie e problematiche sanitarie. Abbiamo visto uomini e donne morire durante il loro esodo nel deserto libico o morire nel mare Mediterraneo. L’Italia è stata lasciata sola, con la Grecia e la Spagna, nel gestire questa epocale emergenza umanitaria.
Credo che anche su questo dobbiamo riaffermare l’Europa. Una Europa che costruisca ponti, accoglienza regolata e non muri.
Dobbiamo inoltre poter dire ai ragazzi ed alle ragazze, figli di immigrati e nati in Italia, che sono italiani.
La Resistenza ci parla di presente e di futuro. Ci costringe a guardarci dentro, a guardare che Paese siamo diventati e quale Europa vogliamo. Ci costringe a non fare prevalere le nostre paure e a ritrovare coraggio.
Lo Stato sono le istituzioni. E se le istituzioni funzionano e rispondono con forza e serietà alle richieste dei cittadini, lo Stato è più forte.
Dobbiamo dimostrarci popolo ed essere uniti di fronte ad episodi che toccano la nostra sensibilità e le nostre coscienze:
Sto ad esempio pensando a Destiny, donna nigeriana di 31 anni in cinta, morta a Bardonecchia dopo il parto e dopo essere stata respinta dalle autorità francesi.
Penso al vergognoso atto dimostrativo visto nel Monginevro, nel confine italo francese, da parte del gruppo di estrema destra francese Génération identitaire per fermare i migranti.
Su questo dobbiamo essere popolo riscoprendo la nostra umanità e generosità ed il nostro orgoglio nazionale.
Dobbiamo educare i nostri ragazzi a questi valori e non alla prevaricazione sui più deboli.
Dobbiamo rilanciare un nuovo patto educativo che unisca famiglie, insegnanti, istituzioni. Non possono vincere la violenza e l’arroganza che generano solo vittime, perché sono vittime sia la vittima che il violento.
Dobbiamo inoltre riflettere su quanto abbiamo visto in Siria. Pregare come ci ha detto Papa Francesco ma anche agire per fare attivare la comunità internazionale, le Nazioni Unite affinché non si uccidano più civili inermi e bambine e bambini con il Gas Sarin. Questa è una enormità.
La Resistenza ci ha insegnato che dobbiamo costruire un futuro di Pace per tutti i popoli, salvaguardando il loro diritto ad autodeterminarsi.
Spero che il nostro Parlamento ed il futuro Governo, possano lavorare in questo senso, per rafforzare l’Europa e le Nazioni Unite.
Tutto ciò ci parla di Democrazia e di antifascismo, che sono alla base della nostra Costituzione.
Come Assessora regionale alle pari opportunità non posso non ricordare il fondamentale ruolo rappresentato dalle donne nella guerra di Liberazione. Basti pensare alla partecipazione attiva delle donne nella resistenza italiana come già evidenziato dalla Presidente dell’ANPI provinciale di Bologna Anna Cocchi.
Cito solo alcuni dati: circa 35 mila, le partigiane ed oltre 70 mila le appartenenti ai Gruppi di Difesa della Donna.
Più di 4.600 donne subirono arresti, torture e condanne.
Più di 2.700 furono deportate in Germania.
Più di 2.800 furono fucilate e impiccate, 1.070 caddero in combattimento. Ma solo 19 furono le Medaglie D’Oro al valore militare, di cui 15 alla memoria.
E nel ruolo di “Staffetta” partigiana ci furono molte giovanissime donne tra i 16 ed i 18 anni – in quanto destavano meno sospetto -.
Quello delle donne nella Resistenza è stato un grande esempio di coraggio e di abnegazione.
Per la prima volta le donne decisero in piena autonomia senza che padri e mariti esercitassero indicazioni di sorta sul “da che parte stare” e sul “cosa fare per battersi”. Alla richiesta sul perché lo avessero fatto, molte donne risposero: “….per essere libera, perché non mi piaceva la vita che facevo.”
Nelle Brigate Partigiane quelle donne sperimentarono libertà, e parità di condizioni con i loro compagni maschi. Una condizione di autonomia e parità fino ad allora mai verificata.
Grazie a quella battaglia, nel 1946, le donne conquistarono il diritto di voto e, fecero poi parte dell’Assemblea Costituente.
Voglio ricordare 5 tra le 21 donne elette nell’Assemblea costituente, che fecero parte della cosiddetta “Commissione dei 75”, chiamata a redigere il testo della carta Costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Tina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti (che a quasi 30 anni di distanza per tre legislature diverrà Presidente della Camera dei Deputati tra il 1979 ed il 1992).
Un’altra grande italiana (partigiana) Tina Anselmi, prima donna ad essere nominata Ministra nel 1976.
Credo che l’impegno delle donne nelle istituzioni e nella società civile debba oggi consolidarsi per riaffermare con determinazione, insieme agli uomini, i diritti di libertà e di autonomia contro le azioni violente, di sottomissione e i femminicidi sempre più al centro dell’attenzione mediatica. Come i tanti fatti di cronaca ogni giorno testimoniano, tra cui l’uccisione delle giovanissime donne italiane Sanaa Dafani e Sana Cheema morte per mano dei propri padri, perché avevano osato ribellarsi all’autorità e volontà familiare.
Noi abbiamo il dovere di non dimenticare l’impegno ed il sacrificio delle donne della resistenza che per prime hanno rivendicato autonomia e parità. Esempio concreto per le giovani generazioni nonché faro ed esempio per chi come noi ha ruoli pubblici.
Per questo, come ci ha insegnato Calamandrei, la Resistenza non va consegnata alla storia, come un evento passato, ma come il primo atto della costruzione della nuova Italia. Un atto che ci parla di futuro, di un futuro che non dobbiamo attendere passivamente ma che dobbiamo favorire, scrivendo assieme ogni giorno pagine di speranza. Questa è l’eredità morale che la Resistenza ed il 25 Aprile ci consegnano.
Viva la Libertà, Viva la Resistenza, Viva il 25 Aprile.
Buona giornata della Liberazione a tutti noi.
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