Marcheuropa: seminario ad Ancona sull’autonomia regionale. Il mio intervento

Importanza di iniziative analoghe a quella odierna

Occasioni di confronto e approfondimento come quella odierna risultano estremamente significative per le Regioni che sempre più avvertono l’esigenza di sottolineare l’importanza del proprio ruolo e, in generale, del ruolo che le istituzioni territoriali rivestono sia nel contesto nazionale che in quello sovranazionale e, in particolare, in quello europeo, come gli interventi di oggi testimoniano. Si tratta di iniziative che meriterebbero di essere replicate in tutti i territori, tanto rilevanti e utili da pensare di organizzarne quanto prima una anche in Emilia-Romagna.

Si registra oggi, in generale, una rinnovata propensione delle istituzioni regionali, specialmente per quanto riguarda alcune realtà territoriali, a riaffermare la necessità di rimettere al centro del dibattito politico il tema del ruolo delle autonomie, a valle di una crisi finanziaria e politica.

Crisi che ha accompagnato, e per certi versi ha determinato, un altrettanto problematica stasi nel percorso di riforma in senso federalista che, avviato con la revisione costituzionale del 2001, non si può dire del tutto compiuto, e sicuramente non in maniera uniforme.

È auspicabile, anche tenuto conto dei temi posti oggi al centro dell’attualità politica, che sia ricercata ogni utile occasione per svolgere riflessioni puntuali sul ruolo che gli enti territoriali devono assumere nel contesto odierno, specie rispetto alle crescenti istanze di giustizia sociale.

La scelta di dibattere di un tema così significativo nell’iniziativa di oggi impone davvero di riflettere su quali obiettivi, quali iniziative, quali valutazioni politiche occorre compiere, in questa fase, per rendere il sistema multilivello capace di rispondere a problemi che sono allo stesso tempo globali e locali alla luce della complessità che caratterizza i contesti sociali continuamente esposti a mutamenti che sappiamo essere epocali e che inevitabilmente si ripercuotono su tutti coloro che condividono responsabilità di governo.

 L’importanza pratica di porsi in un’ottica riformista di rilancio del regionalismo

In un ordinamento pluri-strutturato (multilivello) come il nostro, e attesa la necessaria interlocuzione con le realtà e le istituzioni sovranazionali, così come lo Stato, anche le Regioni devono rispondere della propria azione e delle proprie politiche, in termini di qualità dei servizi e delle prestazioni nei confronti dei cittadini.

A tal fine, occorre, senz’altro affinare, aggiornare e agire al massimo delle loro potenzialità gli strumenti utilizzabili e messi a disposizione dall’ordinamento, ma occorre non di meno profondere un maggiore impegno e una maggiore consapevolezza da parte delle classi politiche e dirigenti, di tal che si possa dare avvio ad una nuova stagione, che superi e risolva in via definitiva la forte disaffezione sviluppata dalla gente comune nei riguardi delle sedi della rappresentanza, e, cioè della politica e delle istituzioni.

In questo senso, il regionalismo costituisce un valore se, come molti di noi sono stati abituati a pensare, le istituzioni più vicine sono ai cittadini, più conoscono i problemi, meglio possono individuare e offrire soluzioni.

Parlare di regionalismo, e di come rimettere al centro delle politiche istituzionali di questo Paese i territori e farli partecipi del modo in cui lo Stato si rapporta ai propri cittadini può sembrare un tema astratto, ma, alla prova dei fatti, non lo è, e non lo è proprio in questa chiave.

 Dibattito intorno al tema del rilancio del regionalismo e gli strumenti a disposizione. Le iniziative di regionalismo differenziato

Dal dibattito odierno, che vi ha dedicato autorevoli e illustri interventi, emerge come dato rilevante l’esigenza di riconsiderare la posizione delle Regioni e delle autonomie territoriali all’interno del sistema pubblico.

Prima manifestazione tangibile di questo, l’avvio dei percorsi di autonomia differenziata che hanno caratterizzato, in principio, l’azione politica di alcune Regioni, e ne vedono oggi protagoniste un numero sempre crescente. Non è di poco conto che la quasi totalità delle Regioni a statuto ordinario (oltre dieci assemblee elettive e altrettante giunte) abbia avviato progetti a norma dell’articolo 116, comma III, della Costituzione.

La scorsa Legislatura, come noto, si è conclusa con la stipula di Accordi preliminari tra il Governo uscente e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna per l’attuazione di una norma costituzionale introdotta, non a caso, con la revisione del TITOLO V nel 2001 e rimasta lettera morta per oltre 10 anni.

La nuova Legislatura si è aperta con l’impegno dell’Esecutivo in carica – come evidenzia lo stesso Programma di mandato – e del Ministro competente non solo di portare a compimento i percorsi già avviati, ma anche di accogliere e riservare precipua attenzione ad eventuali nuovi progetti di autonomia.

Emerge in tutta la sua evidenza, dunque, come le Regioni, dopo una lunga fase di stasi, sulle cui ragioni non è questa la sede per soffermarsi, stiano facendo il tentativo di fare uso effettivo di alcuni strumenti che la Costituzione offre loro per riaffermare il ruolo e le potenzialità proprie dei sistemi territoriali.

Questa la ragione che, specie nell’ultimissima fase, ha contribuito a riaccendere il dibattito anche in seno alla Conferenza delle Regioni, dove, proprio lo scorso 18 ottobre, è stato approvato un primo documento dal titolo “Le Regioni e le nuove sfide del regionalismo”. Documento che fa da sintesi alle posizioni espresse dalle Regioni sia rispetto alle iniziative di regionalismo differenziato, sia, e più in generale, sull’urgenza di rimettere al centro dell’agenda politica il ruolo che devono tornare ad esercitare le Regioni e le autonomie territoriali, anche al di là di ogni ipotesi di intervento per via costituzionale. Vale a dire, nel quadro degli strumenti che già oggi l’ordinamento consente di usare.

Le iniziative di regionalismo differenziato ne rappresentano una forma.

La circostanza che molte regioni stiano esperendo il tentativo di strutturare percorsi di autonomia è perciò stesso emblematico di un sentimento e di una sensibilità comune. È cioè anche il tentativo, in chiave politica, di porre una questione istituzionale, di richiamare l’attenzione del Governo nazionale e di tutte le altre istituzioni per compiere scelte unitarie che abbiano come obiettivo valorizzare la posizione delle Regioni e delle autonomie territoriali nel sistema pubblico.

In quest’ottica, vanno probabilmente interpretate alcune specifiche iniziative di Regioni che, sempre muovendosi nella cornice degli strumenti costituzionali (come quella degli accordi interregionali ex articolo 117, comma 8, Cost.), hanno strutturato progetti di regionalismo differenziato per così dire “comuni”, spinte da esigenze comuni dettate dalla contiguità territoriale. È senza dubbio il caso della Regione Marche, che oggi ci ospita, e della Regione Umbria.

 I tratti salienti dell’iniziativa di regionalismo differenziato, in particolare, dell’Emilia-Romagna

Le iniziative di regionalismo differenziato, dunque, rappresentano uno strumento per “rilanciare le Regioni” e avviare una nuova fase di politica-istituzionale in questo Paese.

Se questo è un obiettivo, parallelamente ciascuna iniziativa, come è molto evidente in quelle che risultano ad oggi più avanzata di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, perseguono obiettivi specifici e, per così dire, “individuali”.

La differenziazione, del resto, è il cuore di tutte queste iniziative.

Su questo non può e non deve residuare alcun dubbio.

La differenziazione è il valore intrinseco che presuppone a tali iniziative, ma è anche la finalità ultima, la giustificazione della loro esistenza.

Innanzitutto, tornando al percorso che le Regioni stanno conducendo con il Governo, e ribadendo il ringraziamento al Ministro per il lavoro fin qui svolto, occorre evidenziare qual è in via tecnica l’orientamento preso. Vale a dire che emerge chiaramente l’idea che tutte le future intese avranno senza dubbio una base comune, delle regole generali applicabili a tutte le Regioni, specie per quel che atterrà agli aspetti di natura “finanziari”. Pertanto, così come non è in discussione la natura singola, quindi non generalizzabile, delle iniziative proposte dalle Regioni ai sensi dell’art. 116, comma III, della Costituzione, è altrettanto chiaro che a ciascuna iniziativa verranno riservati singoli percorsi attuativi sulla base di indicazioni di ordine generale che, quanto all’iter da seguire e alle modalità di presentazione delle istanze, sono già state espresse dal Ministro.

Ciò detto però, resta che è nella diversità degli approcci che si gioca la vera partita!

Vale a dire che le “ricette” non sono univoche, né, a nostro avviso, sarebbe conforme allo strumento una tendenziale uniformità, tenuto conto che a fondare simili percorsi è proprio l’esigenza di valorizzare le differenze territoriali.

Ma c’è di più. La diversità potrebbe non consistere tanto nella scelta delle famose funzioni ulteriori da riconoscere alle Regioni, che in alcuni casi sono tra loro sovrapponibili, se si guardano tutti i progetti, ma più che altro nello “spirito” e, quindi, nell’ispirazione di fondo.

Questa osservazione ci dà modo di chiudere con una riflessione, sulla quale, soprattutto nella funzione di rappresentanza della Regione Emilia-Romagna, è doveroso soffermarsi. Quali sono cioè i capisaldi del progetto dell’Emilia-Romagna, che, peraltro, a differenza di Veneto e Lombardia (e in questo è stata fin qui seguita anche da tutte le altre) non ha ritenuto affatto indispensabile svolgere un preventivo referendum della popolazione per esercitare l’iniziativa di cui ha già titolo a norma dell’articolo 116 della Costituzione.

La Regione Emilia-Romagna ha piuttosto definito il progetto mediante la costante consultazione e delle forze politiche che siedono in Assemblea legislativa e delle categorie economiche, sociali e sindacali, nonché delle altre istituzioni territoriali (attraverso il cd. Tavolo del Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna). Se questo attiene al metodo, quanto al merito, il progetto si fonda su alcuni pilastri.

Innanzitutto, vi è un aspetto preliminare a tutto: si tratta di un’iniziativa che non mira a rivendicare né una specialità assoluta (non nasconde l’intenzione di trasformare la regione in una regione speciale), né una priorità di ordine finanziario. Questo aspetto è dirimente perché rende il progetto pienamente coerente con i principi di unità giuridica ed economica della Nazione. L’iniziativa infatti non è tesa a sottrarre la Regione – più di quanto non strettamente necessario a coprire i costi delle funzioni nuove – al sistema solidaristico e perequativo che regola il nostro sistema fiscale.

Al contrario, ha fortemente condizionato la scelta di intraprendere questo percorso la convinzione che accrescere le competenze per migliorare le proprie prestazioni a favore delle comunità che risiedono nel territorio emiliano-romagnolo possa e debba produrre un effetto positivo sull’intero sistema pubblico, complessivamente inteso, sia in termini di spesa, in decremento, che in termini di capacità amministrative, in termini di incremento e miglioramento.

Conseguentemente, per quanto riguarda le singole richieste della Regione Emilia-Romagna, esse non solo non si riferiscono alla totalità delle materie suscettibili di differenziazione secondo il dettato costituzionale, ma, al contrario, sono il frutto di scelte precise in una logica di mero accrescimento delle potestà che sono in larga parte già garantite alla Regione, e sulle quali, intervenendo quasi chirurgicamente su singoli aspetti ed ambiti di materia, la Regione chiede una maggiore autonomia per realizzare al meglio le proprie politiche territoriali.

In questo senso, che si parli di “ambiente”, “istruzione”, “lavoro”, “sanità”, “cultura”, ecc., in nessun caso il progetto rivendica competenze che possono attenere ai livelli essenziali di tutela, all’ordinamento, al trasferimento di organici (come nella scuola), ossia a competenze che devono essere esercitate dallo Stato perché sia garantita l’unità dell’ordinamento giuridico, che è e resta la base fondante del nostro sistema costituzionale.

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