Il mio intervento alla Direzione provinciale del Partito Democratico di Rimini

L’elezione di Letta in poco tempo ha riportato il Partito Democratico centrale nella scena politica. Un’elezione non formale e non dovuta, un passaggio profondo per le parole nette che Enrico Letta ha usato e con cui ha sfidato il PD nel suo rapporto con il potere e in quello con il governo. Il potere come strumento di cambiamento del partito democratico e non come gestione fine a se stessa. Il governo perché il PD in questi anni senza aver mai vinto le elezioni è sempre riuscito a governare. Siamo riusciti a ribaltare una situazione politica passando dal ‘mai con i cinque stelle’ al sostegno al governo ‘Conte due’. E poi un governo con una maggioranza ampia a sostegno di Draghi insieme addirittura alla Lega. Fa bene Letta a ricordare tutti i giorni che la Lega è passata da forza sovranista e nazionalista a forza europeista. In coalizione nel governo Draghi ci siamo noi insieme a una alleanza naturale con il Movimento Cinque Stelle, con Leu e mi auguro con Italia Viva. L’altro male che Letta ha sfidato è stato quello dell’unanimismo di facciata, rimettendo al centro la dialettica e le diversità che formano la cultura democratica nel nostro partito. Dove non tutti dobbiamo pensarla in partenza e per forza allo stesso modo, ma dove il confronto tra posizioni diverse e il rispetto reciproco ci possono portare a una sintesi ‘alta’. Questo è l’unico modo per arrivare ad un’unità vera, autentica, un unico modo per sconfiggere la cristallizzazione di gruppi preordinati, i personalismi, le correnti; e su questo, come ha detto anche Letta, vorrei sottolineare che quelle chiamiamo correnti rappresentano un aspetto nobile  se sanno esprimere posizioni politiche, se danno voce a battaglie culturali; è evidente che non è così se esse diventano strumenti per la gestione del potere e per la difesa di rendite di posizione, perché questa dinamica porta inevitabilmente degenerazione, e questo vale per tutti. Ed è dentro questa premessa che si collocano le dimissioni di Zingaretti, espressione autentica di un grande disagio che ha lasciato sconcertati tutti noi. Un profondo disagio covato nel tempo. Veniamo da momenti difficili. Prima le elezioni politiche del 2018, dove abbiamo ottenuto il risultato più basso della storia, poi la scissione ad opera di Renzi; e c’è un aspetto che non deve essere dimenticato: quando Zingaretti vinse due anni fa le elezioni primarie con quasi il 70% dei consensi e rappresentando una linea politica ben precisa, c’era chi teorizzava lo scioglimento del PD.

Oggi siamo qui.

Letta è la scelta giusta, perché grazie all’impostazione che ha dato, è riuscito a cambiare lo stile nel confronto politico interno al partito, e grazie alla chiarezza delle sue posizioni il PD sta riconquistando la sua centralità, ma anche la sua autonomia e la sua autorevolezza, e questi sono i punti da cui ripartire insieme. Letta si è mosso in questo modo a partire dalla composizione della sua segreteria, lo ha fatto affrontando immediatamente la questione del ricambio dei capigruppo parlamentari, questo perché è giusto affermare che non vi è un’autonomia dei gruppi rispetto alla linea politica del partito. Vi è autonomia gestionale se così volgiamo chiamarla, ma al centro deve esserci la linea politica del partito. Centralità poi rispetto al tema delle alleanze, che dobbiamo essere in grado di fare essendo capaci di impostare sin dalle prossime elezioni amministrative. E anche su questo Letta ha dato un altro segnale chiarissimo. Il PD insieme a tutto il centrosinistra deve essere in grado di realizzare sin dalle prossime elezioni amministrative quello che ormai definiamo comunemente un ‘campo largo’. E in questo contesto un ragionamento va fatto anche con il M5S.

Non possiamo eludere questo rapporto, perché non è banale dire che la leadership di Giuseppe Conte abbia segnato profondamente il movimento cinque stelle fin dalla vicenda della elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Europea. Il M5S è cambiato attraverso il ruolo svolto nel governo e grazie a Conte c’è stata un’evoluzione democratica che si incontra con i valori che anche il PD esprime. Quindi credo che il nostro compito sia quello di cercare di fare in modo che questa esperienza fatta insieme a loro al governo nazionale possa portarci anche a livello locale a quello locale a verificare le possibilità di un’alleanza che possa ben delineare il progetto il perimetro di un nuovo centro sinistra, con il partito democratico come perno centrale. E’ una strada che a mio avviso va percorsa. Alleanza ampia quindi, dalla sinistra rappresentata da Leu, Mdp, Coraggiosa, passando per il M5S, i Verdi, per arrivare alle forze più moderate come Italia Viva, Azione, Più Europa,  e tutte le istanze civiche che decidono di giocare la partita insieme a noi, in un’alleanza ampia con nessuno escluso, in cui il PD deve rivendicare nel rapporto con gli alleati autonomia, senza accettare e nemmeno porre veti.

So bene che si tratta di un lavoro difficile, faticoso ma necessario, che serve a ricostruire un’alleanza che sia radicata realmente nella società e non solo nel ‘palazzo’ e nelle istituzioni. Alleanza riconoscibile attraverso realtà organizzate, associazioni, gruppi di cittadini; per fare questo serve ricostruire la partecipazione democratica attraverso i valori della sinistra e rifondare un terreno nuovo di dialettica sociale. Il riformismo spesso abusato, se decontestualizzato ha necessità di essere pensato attraverso un approccio vero al processo di riforme. È un percorso difficile ma le riforme trovano consenso non solo nella dialettica tra forze politiche ma in una base sociale.

Le riforme sono più forti se si affermano perché hanno una base sociale che le riconosce e per fare questo serve tener conto di tante questioni. Innanzitutto della disparità sociale, del bisogno di assistenza, di chi ha meno opportunità, di chi produce e crea lavoro, di chi ha bisogno di tutele. Per questo noi dobbiamo essere una forza politica non populista ma popolare, che deve dare risposte a un ceto medio che si è impoverito. Perché sappiamo che le crisi acuiscono le diseguaglianze: poche persone hanno sempre di più mentre la stragrande maggioranza ha sempre di meno. La povertà assoluta è cresciuta. Le famiglie sono in condizioni di difficoltà. C’è una situazione drammatica alle porte dei comuni. La regione ha fatto la sua parte ma i bisogni sono esplosi e in poco tempo. C’è un aspetto positivo in tutto ciò: questo anno di emergenza legata al covid ha accelerato il processo di integrazione sostanziale dell’Europa.  Oggi si sta discutendo di temi e questioni che non avremmo mai pensato di affrontare solamente un anno fa. Si stanno realizzando programmi di sinistra, basti pensare che siamo passati dall’austerità alla messa in campo di fatto di un nuovo ‘piano Marshall’ che sta permettendo di reinvestire le infrastrutture pubbliche nel green attraverso il Next generation EU e i piani nazionali di resistenza e resilienza; tutto questo non era né scontato e né dovuto.

Ecco che allora in questo contesto noi abbiamo il dovere di declinare anche a livello locale il nostro ‘piano Marshall’ e dobbiamo essere all’altezza di tutto questo. Voglio mutuare le parole di Enrico Letta: non siamo qui per gestire il presente, c’è tutto da riscrivere. Sanità, investimenti in ricerca e in presidi territoriali, digitalizzazione, superamento dei divari digitali tra centro e periferia. Le questioni intergenerazionali che intrecciano il tema dei garantiti e di coloro che pagano il prezzo più alto della crisi, in modo particolare giovani e donne. Questo tema dei giovani va affrontato nella sua interezza perché non possiamo fare dei giovani una generazione di precari. C’è il tema del lavoro.

Abbiamo visto in questi mesi le grandi multinazionali, le grandi realtà di distribuzione come Amazon che hanno aumentato la loro attività e in questa fase di riorganizzazione delle nostre vite, anche attraverso smart working a distanza e didattica distanza, nel riorganizzare tutto questo c’è una grande questione che riguarda i lavori, al plurale. I lavori non regolati, la garanzia dei diritti, delle tutele e dei salari adeguati, e su questo tema del lavoro e dei diritti garantiti che è un grande tema della sinistra, noi dobbiamo basare le scelte del nostro futuro. E dentro la nostra frontiera che riguarda il presente e la modernità c’è anche il tema della nostra economia locale, la nostra economia turistica. Dobbiamo pensare a come rinnovarla e a come fare la differenza rispetto al tema della competitività generale. Dobbiamo pensare a quali risposte dare sul fronte della gestione delle spiagge, sull’offerta ricettiva alberghiera. Anche su questo dobbiamo veramente spingerci in avanti per sostenere le reti di imprese capaci di competere in Europa.

C’è il grande tema di come difendiamo la nostra economia turistica dalla penetrazione della criminalità organizzata, di come vogliamo ammodernare la filiera ricettiva, degli strumenti legati al 110% rivolti alle strutture ricettive. E tanto altro. Quelli fatti sono solo alcuni esempi che servono a fare capire che per affrontare tutta questa complessità serve un approccio nuovo. Riforme utili che devono tenere insieme un patto sociale, superando le divisioni della nostra società divisa verticalmente tra generazioni e divisa orizzontalmente tra centro e periferia. E su questo noi dobbiamo intervenire sulle opportunità storiche che ci offre il Next generation EU, l’agenda 2030. I 209 miliardi di euro che l’Italia dovrà saper gestire e che dovrà saper spendere bene riattivando crescita sviluppo e sostenibilità.

Oggi si apre uno spazio enorme per la politica.

Una politica fatta di conoscenze, di competenze, di studio, di esperienze maturate sul campo. La politica della coerenza, della serietà e dell’impegno. Questi elementi rappresenteranno dei forti discrimini e per raggiungerli serviranno tempo, sacrifici e cura. Non è semplice ripartire perché lo sappiamo che i partiti in questi anni sono stati destrutturati. Hanno avuto la meglio il personalismo, il populismo e spesso è capitato che alle competenze politiche si sia preferito il nuovismo fine a se stesso. E anche il passaggio generazionale non è stato accompagnato adeguatamente. Anche il disagio dei nostri iscritti rispetto al nostro radicamento territoriale va affrontato con grande serietà, perché è dal partito sui territori che bisognerà ripartire anche per costruire una nuova classe dirigente. Una classe dirigente all’altezza di questo tempo, sia a livello amministrativo locale che a livello nazionale.

In autunno avremo le elezioni amministrative.

Ai fini del risultato incideranno diversi elementi: l’azione del governo, la tenuta del PD e la sua riconoscibilità ma anche il nostro ruolo sui territori.

Noi a mio avviso dovremo fare i conti essenzialmente con tre questioni dirimenti:

– innanzitutto, quello relativo alla riapertura delle scuole, che tanto ha messo alla prova le nostre famiglie ragazzi e tutto il sistema educativo;

– in secondo luogo, l’andamento della stagione turistica, con le difficoltà che dovremo affrontare nei prossimi mesi;

– inoltre il piano vaccinale e la sua riuscita.

E’ su questo dovremo dimostrarci all’altezza di aspettative e bisogni delle nostre comunità, e su questi tre aspetti saremo misurati dai nostri cittadini al momento del voto.

La sfida è importante e non possiamo chiuderci nei nostri recinti identitari, nelle nostre verità, nei tatticismi, non possiamo cullarci nemmeno sui successi fin qui raggiunti. Perché non sono più sufficienti e non bastano più. Servono nuovi progetti, nuove mappe concettuali, nuovi codici interpretativi per comprendere la complessità che stiamo vivendo.

C’è un tempo per tutto.

Un tempo per seminare, un tempo per il conflitto, un tempo per ricostruire. Adesso dipende da ciascuno di noi. Le persone ci chiedono uno scatto in avanti, non possiamo più vivere come nel giorno della marmotta, qualcosa di già noto uguale al giorno che ci ha preceduti. Non possiamo vivere di rimorsi e nemmeno di rimpianti.

Dipenderà da tutti noi saper fare la differenza e vincere la sfida. La posta in gioco è troppo alta, non si salva nessuno da solo. Ognuno di noi dovrà fare la propria parte. Ripartiamo dalle nostre idee, dal programma del PD che è stato elaborato da tante persone che hanno voluto contribuire (anche da fuori il partito democratico), diamo forza e dignità alle idee e alla nostra identità per rispondere insieme ai bisogni della nostra gente e della nostra comunità.

In questo modo sono certa che ce la faremo.

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