Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

Il mio intervento iniziale

 

Innanzitutto voglio ringraziare per l’invito a questo bel seminario organizzato dal Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza e dal Centro Alberto Manzi.

Saluto quindi la Garante, Dott.ssa Clede Maria Garavini, Alessandra Falconi del Centro Manzi, Elly Schlein Vicepresidente della Giunta regionale, le scuole collegate e i relatori del seminario.

Oggi è il 20 novembre, Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Sono passati oltre 30 anni dall’adozione di quella convenzione che per la prima volta ha riconosciuto i bambini come aventi diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici e mi riferisco alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, adottata nel 1989, ratificata dall’Italia nel 1991.

Insieme all’adozione della convenzione si celebra la Giornata Mondiale dei diritti dei bambini, poiché è grazie all’adozione e ratifica di questo documento che in quasi tutti i Paesi del mondo i bambini non solo godono dei diritti fondamentali, ma sono protetti e tutelati.

 L’Emilia-Romagna con una legge regionale 2005 ha stabilito l’istituzione della figura del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, che è un organo istituzionale autonomo che ha il compito di garantire il rispetto e la piena attuazione dei diritti e degli interessi dei minori presenti sul territorio regionale.

Io voglio sottolineare positivamente un fattore importante, e mi riferisco alla collaborazione tra il Centro Alberto Manzi e la Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che è scaturita in questa iniziativa e che è iniziata questa estate a seguito di una video intervista in cui Alessandra Falconi poneva dei quesiti alla Garante sul tema delle povertà educative emerse durante la pandemia. L’idea dell’intervista era scaturita dal progetto “Maestri come Alberto Manzi” di raccolta delle esperienze e delle testimonianze di maestre e maestri durante il lockdown.

In quel momento l’ufficio della Garante era impegnato in un progetto di mappatura delle povertà educative sul territorio.

È inoltre molto recente il Protocollo di intesa per promuovere e sviluppare azioni di interesse comune nell’ambito della promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza siglato dalla Garante per l’Infanzia e l’Unicef (Comitato nazionale e Comitato regionale).

Il seminario ha quindi l’obiettivo di mettere in sinergia le diverse esperienze, cominciando dall’ascolto dei bambini, come avrebbe fatto il Maestro Manzi.

Tra l’altro i bambini che intervengono da Rimini hanno già fatto un lavoro con i propri insegnanti, e proprio per il fatto che parliamo di un istituto della mia città, consentitemi di essere un po’ partigiana ed esprimere il mio orgoglio per questa loro partecipazione.

Tornando un attimo alla figura del maestro Alberto Manzi, diventato celebre con il programma televisivo “Non è mai troppo tardi”, sappiamo che lui raccolse nell’arco della sua vita una grande quantità di libri scolastici, di narrativa, saggi pedagogici, appunti, disegni, fotografie e programmi per la radio e la tv dedicati a tematiche educative, che dopo la sua morte nel 1997 venne donato al Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna.

All’epoca l’Assemblea legislativa (allora si chiamava Consiglio regionale) svolgeva da anni iniziative didattico-educative in collaborazione col mondo della scuola alla ricerca di un’informazione di qualità per i ragazzi ed aveva attivato una biblioteca/videoteca.

Nel 2000 si giudicò opportuno istituire un rapporto di collaborazione fra il Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, la Rai, la Giunta ed il Consiglio della Regione Emilia-Romagna, per istituire un punto di documentazione, con un forte grado di specializzazione e fu allora che si definì che  tale punto venisse ospitato dalla Biblioteca del Consiglio regionale

Nel 2007 fu definito un nuovo protocollo d’intesa con il quale si definì che tutto il materiale documentale e archivistico appartenuto o realizzato dallo stesso Maestro fosse raccolto in un unico luogo denominato “Centro Alberto Manzi” e che, nel tempo, l’archivio sarebbe stato arricchito con la raccolta delle nuove pubblicazioni di materiali editoriali o audiovisivi della sua vasta produzione e di studi sulla sua opera o a questa ispirati.

Il Centro aveva ed ha ancor più oggi l’obiettivo di promuovere iniziative culturali e di formazione, rivolte in particolare a insegnanti, educatori, operatori culturali, o di carattere divulgativo, e soprattutto di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, iniziative su tematiche che riguardano la comunicazione educativa e la media-education.

Dal 2016 l’attività del Centro Alberto Manzi è entrata a far parte delle attività di competenza della Direzione generale dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna.

 Un’attività rilevante del Centro è la collaborazione con la RAI.

A tal riguardo, a ottobre 2018, l’Assemblea legislativa ha stipulato una Convenzione con RaiCom S.p.A., in attuazione della quale RaiCultura e l’Assemblea legislativa, tramite il Centro Manzi, hanno co-prodotto un ciclo di sei puntate per RaiScuola intitolato “Alberto Manzi. L’attualità di un Maestro”, con l’obiettivo di riproporre alle scuole italiane l’approccio pedagogico e didattico del Maestro.

Mi sono permessa di dedicare l’apertura del mio intervento a sottolineare chi sono e cosa fanno die istituzioni importanti come il garante e il centro Manzi.

Ora però vorrei soffermarmi su titolo e obiettivo del seminario di oggi, che è quello di fare una riflessione sulle povertà educative e sulle nuove fragilità emerse o rese visibili dalla pandemia.

E’ inutile girarci intorno. L’emergenza sanitaria è stata come un ciclone nelle nostre vite, da molteplici punti di vista; sanitario per chi ha avuto famigliari o amici colpiti dal virus, sociale, economico….

Ci sono state fasce sociali che hanno pagato (e ahimè con questa seconda ondata stanno ancora pagando) un prezzo altissimo, più di altre, ribadisco, anche per motivazioni diverse.

Tra questi secondo me ci sono gli studenti.

Lo dico con grande disagio e dolore credetemi.

Tra l’altro l’esperienza del maestro Manzi ci porta a dire che una forma, seppur primordiale, di Didattica a Distanza (DAD) è già stata sperimentata negli anni ’60.

Credo che vi sia correlazione tra allora e oggi, mi spiego.

Manzi insegnò a leggere e scrivere agli adulti che non avevano ricevuto un’istruzione in età scolare. Usava grandi fogli dove disegnava con il carboncino, e utilizzava filmati e fotografie, come oggi si fa con i computer.

Le lezioni andavano in onda la sera, alla fine delle giornate di lavoro. Il Maestro parlava ad una classe in studio, ma la sua vera classe era di migliaia di persone, ognuna a casa sua. All’epoca molta gente viveva in paesini sperduti e le maestre vi si trasferivano per passarvi l’anno scolastico. Oppure i bambini camminavano per chilometri, magari nella neve, per assistere alle lezioni. Questo è ciò che realmente accadeva in alcune parti d’Italia negli anni Cinquanta e Sessanta. Negli anni precedenti i bambini che vivevano lontano da scuola addirittura non ci andavano.

E’ chiaro che oggi abbiamo i computer e internet. Ma la copertura è ancora molto instabile. Non tutti i docenti sono per così “digitali” come i loro studenti e devono affrontare non poche difficoltà per esercitare la professione più importante di tutte: trasmettere la conoscenza alle nuove generazioni.

Allo stesso tempo vi sono difficoltà per molte famiglie che vivono in zone dove il segnale internet non arriva, sembra strano ma nel 2020 il nostro paese sconta ancora un forte gap dal punto di vista del digital divide (divario digitale).

Probabilmente i tre mesi di DAD della scorsa primavera hanno fatto trovare tutti più pronti ad una eventuale seconda ondata, che purtroppo si è verificata e nella quale siamo immersi proprio in queste settimane.

Le istituzioni hanno fatto di tutto per provare a stare vicino a chi ha avuto problemi di qualsiasi natura.

Faccio solo l’esempio della Regione Emilia-Romagna, che in sinergia con l’Ufficio Scolastico Regionale ha cercato di mappare tutte le crisi evidenziatesi a primavera per cercare di sopperire finanziando l’acquisto di tablet, di sim card e di quant’altro fosse necessario a colmare lacune che soprattutto gli studenti avevano riguardo la tecnologia a loro disposizione.

E questi problemi erano inerenti soprattutto alle difficoltà di connessione di chi vive in zone montane ad esempio oppure vere e proprie impossibilità per le famiglie di poter acquistare un computer o un tablet ai propri figli, e mi riferisco non tanto e non solo all’Emilia-Romagna ma all’Italia in generale.

Ora col cosiddetto ‘decreto ristori’ sono a disposizione delle scuole ulteriori 85 milioni di euro per l’acquisto di dispositivi digitali, per l’utilizzo delle piattaforme per l’apprendimento a distanza e per la connettività di rete.

Importante!!! E’ notizia fresca di ieri quella relativa all’arrivo della banda ultra-larga in tutti i plessi scolastici dell’Emilia-Romagna entro il 2022. È stato approvato l’accordo tra Regione Emilia-Romagna, ministero dello Sviluppo economico, Lepida e Infratel per collegare alla rete in fibra ottica a 1Gbps le scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado dell’intero territorio regionale, da Piacenza a Rimini.

24 milioni di euro le risorse disponibili: fondi destinati alla Regione dal Comitato nazionale Banda Ultra Larga (Cobul) del ministero dello Sviluppo economico, con l’attuazione degli interventi previsti nel Piano Scuole. Sono oltre 1.200 quelle già connesse con la banda ultra-larga, più della metà degli istituti presenti in Emilia-Romagna, ma entro due anni lo saranno anche le restanti 1.173.

Gli istituti sono così suddivisi: 206 in provincia di Bologna; 172 a Reggio Emilia; 137 a Rimini; 130 a Piacenza; 118 a Ferrara; 117 a Modena; 116 a Parma; 107 a Forlì-Cesena; 70 a Ravenna.

L’obiettivo è di attivare la connettività a 221 scuole già nei prossimi mesi, ad altre 559 nel 2021, per poi concludere i lavori nel 2022

La connessione diffusa degli istituti scolastici a livello regionale consentirà così l’apprendimento, la formazione e l’introduzione alle tecnologie telematiche, oltre a favorire l’insegnamento ai docenti con la didattica a distanza, sempre più necessaria come l’emergenza sanitaria sta dimostrando.

La digitalizzazione del paese deve essere completa: come tutti possono avere la televisione, così tutti devono poter accedere alla rete. Negli anni Sessanta il Maestro Manzi raggiungeva i paesini più sperduti, e oggi abbiamo difficoltà di collegamento a internet in grandi parti del paese. Facciamo di necessità virtù e adeguiamo l’Italia a standard di efficienza digitale non procrastinabili.

Questo è un primo aspetto, riguardante più che altro la parte strumentale della DAD.

Poi c’è tutto un altro tipo di problematica, forse il più importante, che riguarda la mancanza del vivere la scuola. Ci sembrava scontato che l’andare a scuola come lo abbiamo sempre conosciuto, fosse il gesto più scontato e normale del mondo dai 6 ai 19 anni almeno.

Tutto ad un tratto abbiamo scoperto che così non è.

Abbiamo creduto che la DAD fosse una breve parentesi da dimenticare presto.

Invece non è scontato che sia così.

Certo, un aspetto positivo c’è: docenti e ragazzi hanno imparato, seppur in condizioni di emergenza, una modalità tutta nuova di didattica, che però forse dovrebbe rappresentare una eccezione nella vita degli studenti e non la regola.

La casistica non è nemmeno tutta omogenea: probabilmente l’adeguamento è più semplice per gli studenti universitari, abbastanza agevole per quelli delle superiori (almeno per i più grandi di età), più complicato per i ragazzi delle scuole medie e mi sento di dire non proprio proibitivo ma molto molto difficile per i bambini delle elementari, tanto è vero che ancora nella cosiddetta ‘zona arancione’ come quella nella quale siamo classificati noi al momento, questi ultimi ancora vanno a scuola regolarmente in presenza.

Va detto chiaramente: in termini di vite umane il prezzo più alto di questa pandemia lo paga la generazione meno giovane e speriamo davvero che la curva drammatica dei decessi torni a scendere. Però c’è anche un prezzo che bambini e bambine, ragazzi e ragazze stanno pagando. E noi quel prezzo non lo possiamo dimenticare.

La didattica a distanza non è la scuola in presenza, ce lo dicono anche bambini e ragazzi, basta parlarci: ci dicono che manca il contatto, la relazione personale. In qualche modo è esattamente quello che vale per tutti i ragazzi, paradossalmente vale anche per quelli che hanno la possibilità di andare a scuola in questo momento, perché sappiamo bene che le regole, i protocolli rigidi che ci siamo dati, impongono una modalità del fare scuola molto diversa rispetto al passato. E comportano una distanza interpersonale che prima non c’era e che in qualche modo può essere un limite alla relazione educativa in senso proprio. Impariamo da questi bambini e ragazzi che nell’idea di educazione dobbiamo tenere presente l’elemento relazionale come centrale. Questo ci permette di capire come il diritto all’istruzione non sia solo un diritto a essere informati e formati, a ricevere nozioni, ed essere accompagnati in un percorso di crescita culturale ma è anche il diritto di essere accompagnati dal punto di vista relazionale.

Mi scuso se vi ho preso troppo tempo ma il tema è gigantesco e tocca le vite di tutti noi.

La pandemia sta mettendo a dura prova la tenuta di un sistema di relazioni sociali, ma chi ha ruoli di ‘guida’, siano essi istituzionali o educativi, ha il compito di tenere duro e insistere affinché questa coesione non venga meno, perché arriverà il giorno in cui ripartiremo per davvero come prima, senza ondate ulteriori, e quel giorno deve davvero significare un nuovo inizio nel quale dobbiamo far tesoro delle esperienze maturate in questo periodo, che non dimenticheremo mai ma che servono, appunto come la scuola, anche a farci crescere.

 Grazie a tutti e davvero complimenti per l’organizzazione di questo seminario al quale mi ha fatto molto piacere poter dare un contributo, spero costruttivo.

 

 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *