All’Agorà Democratica regionale per affrontare il tema della cittadinanza
Italiani di fatto e non di diritto. Ragazzi e ragazze che vivono e studiano in Italia, che si sentono italiani, che crescono con i loro coetanei, senza che nessuno percepisca alcuna differenza, sono stranieri agli occhi dello Stato. Da oltre dieci anni parliamo della modifica di una normativa che quest’anno compie trenta anni, la legge 91 del 1992, una legge molto vecchia che andrebbe modificata. Il principio si limita a regolamentare lo ius sanguinis: è italiano chi ha almeno un genitore italiano, chi viene adottato da genitori italiani, o si sposa con un italiano. Negli altri casi occorre aspettare di aver compiuto il diciottesimo anno di età e dimostrare di aver vissuto ininterrottamente nel nostro Paese; tra cavilli ed iter burocratici rischiano però di passare anni prima che a tutti gli effetti diventino cittadini italiani.
Ci troviamo di fronte ad una società notevolmente mutata rispetto agli anni in cui è stata redatta la legge. Se non vogliamo pensare ai numeri basta parlare con i nostri figli, con i ragazzi, andare nelle scuole delle nostre città, per vedere la distanza siderale tra questa normativa e il reale stato della situazione. Nasce per questo la concreta esigenza di modificare la legge sulla cittadinanza, renderla più attuale, dare risposte a tutti questi ragazzi che si trovano in un vero e proprio limbo ed hanno invece il diritto di essere naturalizzati.
Dall’inizio della nuova legislatura ci sono stati tre disegni di legge ancora fermi, firmati da:
Laura Boldrini (“Ius Soli. Chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da almeno un anno, al momento della nascita del figlio e chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è nato in Italia. Introduce anche lo Ius Culturae: se ha frequentato un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado ovvero secondaria di secondo grado presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione”);
Matteo Orfini (“Ius Soli Temperato. Il testo del deputato Pd prevede uno ius soli ‘temperato’, ovvero disciplina l’estensione dei casi di acquisizione della cittadinanza per nascita per i bimbi nati nel nostro Paese da genitori stranieri, di cui almeno uno vi risieda legalmente senza interruzioni da non meno di cinque anni o sia in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo”);
Laura Polverini (“Ius Culturae. Lo straniero, nato in Italia e che abbia completato il corso di istruzione primaria secondo la disciplina vigente risiedendovi legalmente fino a tale data, diviene cittadino mediante dichiarazione resa in qualunque momento”).
L’ultimo tentativo di riformare la legge risale al 2015 con il disegno di legge di Marilena Fabbri approvato alla Camera, ma mai al Senato, che introduceva lo Ius Soli temperato e lo Ius Culturae, il primo faceva acquisire la cittadinanza ai figli degli stranieri con il permesso di soggiorno di lungo periodo, quindi temperato da questo ed altri prerequisiti, il secondo dopo la fine di un percorso scolastico.
In Commissione Affari Costituzionali della Camera è stata depositata la proposta di un testo unificato che prevede lo Ius Scholae, il riconoscimento della Cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia, o arrivati in Italia prima dei 12 anni, che hanno frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni. (Relatore Giuseppe Brescia dei 5 Stelle presidente della Affari Costituzionali della Camera).
La scuola è sicuramente un grande fattore di integrazione e cittadinanza. Concentrare queste modifiche sull’attuazione di un percorso scolastico può trovare legittimità e forte consenso da ogni parte politica, o così dovrebbe essere.
Abbiamo visto in più occasioni quanto il tema sia stato strumentalizzato dalle destre, lanciando un messaggio politico che non fa altro che accentuare l’immobilismo del nostro sistema, anche su tematiche giuste e condivisibili come questa. Uno stop a cui stiamo assistendo da anni, e che incide prettamente sulla pelle e la vita di tante persone; pensate che stiamo parlando di circa 880mila alunni di cittadinanza non italiana nelle nostre scuole secondo l’ultimo rapporto del Ministero dell’Istruzione.
Non ci sono alunni di serie a e di serie b. Bene ha fatto il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, a rilanciare la battaglia rendendo cittadini onorari bolognesi 11 mila bambini che hanno completato almeno un ciclo di studi, dando un chiaro segnale: abbiamo la possibilità di fare un salto in avanti, di portare i diritti in cima alle nostre priorità, di trovare un senso di equità sociale che possa fare la differenza, perché se il Mondo è cambiato, anche noi dobbiamo cambiare.
Dobbiamo non solo dare l’esempio, ma fare in modo che il nostro peso politico abbia come unico scopo il bene della società tutta, senza distinzioni. Senza, mi permetto, bandiere. Ci sono cose giuste, non condividerle sarebbe un errore. Dobbiamo, attraverso il dialogo, la lungimiranza, le buone pratiche, portare a casa questa proposta.
Come Regione sento di potermi impegnare, in tal senso, a promuovere con ogni strumento la realizzazione. La regione Emilia-Romagna è da sempre capofila sulle leggi che riguardano i diritti: dalla parità salariale, alla legge contro l’omotransfobia, al medico di base ai senza fissa dimora. Siamo andati avanti ad oltranza, senza fermarci, perché si trattava di temi importanti, come questo. Soprattutto ora che avremo tanti giovani studenti che a causa del terribile conflitto in Ucraina stanno arrivando nelle nostre scuole. Oltre ad accoglierli, dobbiamo dare una prospettiva futura ai ragazzi, perché non sappiamo quali conseguenze porterà la guerra sul quadro internazionale.
Dobbiamo insomma fare il possibile per creare una società che sia linea con le aspettative di ciascuno, e riconoscerne il mutamento, senza pregiudizi, o substrati che appartengono ad una politica del passato. Senza paura, consapevoli della nostra identità.
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