Alla CGIL di Rimini per affrontare le questioni riguardanti il lavoro femminile
Il mio intervento di saluto.
Il pieno riconoscimento del ruolo delle donne nella società, nelle istituzioni, nel mondo del lavoro costituisce il parametro per misurare la maturità di una democrazia e la qualità del grado di sviluppo – sociale ed economico – di un Paese. È un assunto ormai assodato, confermato da dati e studi socioeconomici, su cui però è necessario fare, soprattutto in Italia, ancora molti sforzi per far sì che non rimanga pura teoria.
È uscito proprio in questi giorni l’Indice dell’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza id genere, istituito nel 2006) per il 2019 che misura il progresso dell’uguaglianza di genere nella UE a 28 paesi, e l’Italia si attesta solo al 14° posto nell’UE-28 con un punteggio di (63 su 100) 4,4 punti sotto rispetto alla media UE-28, anche se dal 2005 al 20017 il dato complessivo è migliorato di ben 13,8 punti.
Se da un lato “L’Italia sta progredendo verso l’uguaglianza di genere a un ritmo molto più rapido rispetto agli altri Stati membri dell’UE”, dall’altro è proprio questa analisi puntuale su alcuni indicatori chiave, a darci conferma di quanto il nostro Paese debba ancora lavorare a fondo per modificare le disuguaglianze e discriminazioni che le donne vivono e percepiscono quotidianamente sulla propria pelle.
L’Italia infatti presenta il punteggio più basso di tutti gli Stati membri dell’UE nel settore del “lavoro”: In Italia il tasso di occupazione è pari al 53% per le donne e al 73% per gli uomini, cosa che ha fatto sì che il nostro Paese non sia riuscito a raggiungere l’obiettivo UE 2020 di occupazione nazionale del 67-69% dato che siamo al 63%.
Siamo, inoltre, malmessi anche in riferimento all’indicatore del “tempo”, in cui l’Italia, dal 2005 l’Italia ha addirittura peggiorato la propria performance. Secondo l’indicatore del “tempo” “le donne hanno una probabilità quattro volte maggiore (81%) rispetto agli uomini (20%) di trascorrere del tempo cucinando e facendo i lavori di casa ogni giorno per almeno un’ora”.
Per quanto riguarda l’indicatore “denaro” il punteggio è migliorato rispetto al 2005. Anche se sia uomini che donne guadagnano di più, rimane il gender pay gap: le donne guadagnano il 18% in meno rispetto agli uomini.
Peggiore la situazione per le donne sposate: “nelle coppie con figli le donne guadagnano il 30% in meno rispetto agli uomini (il 26% in meno nelle coppie senza figli)”, e il livello di istruzione non aiuta.
Il divario nei salari tra uomini e donne, per le donne con livelli di istruzione elevati è del 35%, mentre si riduce a circa il 25% per donne con livelli di istruzione bassi o medi.
Il rischio di povertà per le donne è del 20% ed è aumentato per gli uomini dal 16% al 18%.
Più vulnerabili sono i genitori single, le donne single e le persone migranti.
Speriamo che l’Indice 2020 che fornirà la valutazione per il biennio 2018-2019, possa dare delle risultanze migliori….
Anche se i contenuti dell’Ordine del giorno che precede i Vostri lavori di oggi sulle disuguaglianze di genere nelle aziende e nella società, così come le notizie di cronaca, testimoniano che la strada da percorrere è ancora tanta, ed è quindi proprio in merito all’accesso nel mondo del lavoro che ai percorsi di carriera, alle retribuzioni qui che dobbiamo focalizzarci e lavorare.
Questi dati devono essere un ulteriore elemento che ci spinge nel costruire, tassello dopo tassello, una società in cui le donne abbiano realmente le stesse opportunità professionali dei colleghi uomini. Opportunità che non solo rafforzano il riconoscimento di pari diritti tra uomini e donne, ma che rappresentano un importante potenziale economico per il Paese.
Gli studi economici, pubblicati di recente da Bloomberg sull’Italia, evidenziano che se tutte le donne italiane oggi disoccupate iniziassero a lavorare, il prodotto interno lordo del Paese aumenterebbe di 88 miliardi. Questa dev’essere dunque la nuova sfida del presente, una sfida che unisce l’affermazione dei diritti con la crescita e lo sviluppo di un Paese.
Il problema della partecipazione delle donne all’economia è sia una questione etica, di progresso umano e giustizia sociale, ma anche di “efficienza economica” complessiva a livello di sistema.
I dati dell’Emilia-Romagna sono più rassicuranti e se da un lato costituiscono un motivo di soddisfazione, dall’altro non ci e motivo di soddisfazione, anche se non ci inducono a fermarci. Il tasso di occupazione regionale (15-64 anni) è salito al 69,9% (raggiungendo l’obiettivo UE 2020 che voleva il tasso di occupazione paese Italia al 67-69%), con il tasso di occupazione femminile al 63,7%. Il tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2019 è pari al 6,1%, le donne disoccupate sono pari al 7,1% della popolazione attiva
In Emilia-Romagna continua la crescita dell’occupazione e del relativo tasso:
I dati rilasciati il 13 giugno da ISTAT evidenziano che nel primo trimestre 2019 il tasso di occupazione regionale (15-64 anni) è salito al 69,9% (raggiungendo l’obiettivo UE 2020 che voleva il tasso di occupazione paese Italia al 67-69%), in crescita rispetto ad un anno prima (+1,5 punti percentuali), il tasso più alto in ambito nazionale, dopo il Trentino-Alto Adige (71,1%). Il tasso di occupazione maschile è stimato al 76,2% (+1,7 punti percentuali rispetto al I trimestre 2018), mentre quello femminile è pari al 63,7% (+1,4 punti percentuali). Nel primo trimestre 2019 il tasso di occupazione è salito anche In Italia (al 58,2%, +0,6 punti percentuali rispetto al primo trimestre 2018) e nel Nord Est (al 68,5%, +1,1 punti percentuali).
Gli occupati regionali sono stimati in circa 2.016 mila persone, con un incremento di +2,5% rispetto al primo trimestre 2018 (+49,1 mila occupati). La crescita dell’occupazione ha interessato sia la componente maschile (+28mila occupati, pari a +2,6%) sia quella femminile (+21,1 mila occupati, +2,4%).
A livello settoriale, nel primo trimestre 2019 si consolidano le tendenze riscontrate negli ultimi 12 mesi, da cui emerge una crescita dello stock degli occupati nell’Industria in senso stretto e nelle Costruzioni.
Rispetto al primo trimestre 2015, il tasso di occupazione regionale è cresciuto di 4,4 punti percentuali, dal 65,5% al 69,9%, mentre gli occupati sono aumentati di 124,6 mila unità circa (+6,6%). Nella media degli ultimi quattro trimestri, tra aprile 2018 e marzo 2019, il tasso di occupazione si colloca attorno al 70%, in crescita di 1,4 punti percentuali rispetto alla media del periodo aprile 2017-marzo 2018 (68,6%).
Continua a scendere la disoccupazione complessiva in regione
Il tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2019 è pari al 6,1%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2018. A livello regionale un dato inferiore lo si rileva unicamente in Trentino-Alto Adige (4,3%). Tra le altre regioni si segnala il Veneto, con un tasso pari al 6,2%, e la Lombardia, con il 6,3%. Nel primo trimestre 2019 il tasso di disoccupazione si è ridotto anche in Italia (all’11,1%, -0,5 punti percentuali su base tendenziale) e nel Nord Est (al 6,0%, -0,6 punti percentuali). 3
Le donne disoccupate sono pari al 7,1% della popolazione attiva (-1,0 punti percentuali in termini tendenziali) mentre gli uomini il 5,3%, sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno.
Nel primo trimestre 2019 le persone in cerca di lavoro sono 131,4 mila, con una contrazione rispetto ad un anno prima di circa 5 mila persone (-3,6%). Tale calo è stato interamente determinato dalla dinamica della componente femminile.
Rispetto al I trimestre 2015, si registra un calo del tasso di disoccupazione regionale di 2,8 punti percentuali (era pari all’8,9%), con 53,4 mila persone in cerca di lavoro in meno. Negli ultimi dodici mesi, tra aprile 2018 e marzo 2019, il tasso di disoccupazione regionale si colloca in Emilia-Romagna sul valore medio del 5,8%, in contrazione rispetto al periodo aprile 2017-marzo 2018 (6,4%).
Ancora oggi è spesso troppo difficile per molte donne poter competere sul mercato del lavoro e le istituzioni in questo hanno il dovere di andare loro incontro, offrendo soluzioni efficaci.
Interventi concreti, come la valorizzazione della conciliazione, l’applicazione di sistemi come lo smart working, una rete capillare e diffusa di asili nido e tanto altro ancora.
Ancora oggi, la conciliazione dei tempi casa-lavoro è uno degli ostacoli principali all’accesso e alla permanenza delle donne nel mercato del lavoro. In tutte le regioni del nostro Paese le donne dedicano più tempo degli uomini al lavoro domestico e familiare e mediamente l’impegno cresce proporzionalmente all’aumentare della fascia di età.
Conciliare i tempi di vita, cura e lavoro, anche attraverso politiche attente alle esigenze delle famiglie e promuovere la condivisione del lavoro di cura famigliare tra uomini e donne restano aspetti centrali per affrontare il tema della parità di genere.
La conciliazione non è una questione solo femminile, ma riguarda la qualità della vita di tutti, non è una questione privata dei soggetti o delle aziende, ma richiama il coinvolgimento del sistema sociale nel suo complesso.
La partecipazione delle donne all’economia e al lavoro ha un riflesso sulle scelte e sui bilanci familiari, che ovviamente necessitano di entrambi gli stipendi. In ultima analisi, ma non meno importante, ha ricadute importanti sulle strategie di ripresa e sull’economia nel suo complesso.
Le politiche volte a sostenere l’equilibrio tra tempi per la vita privata e tempi per il lavoro rappresentano una questione strategica per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo economico e occupazionale dell’Unione Europea.
Mettere a punto misure e politiche di conciliazione è indispensabile.
Una nuova sfida è quella di favorire lo sviluppo di un ambiente sociale che valorizzi l’apporto femminile all’economia e allo sviluppo dell’imprenditorialità femminile, assumendo le politiche di conciliazione quale leva per un cambiamento delle politiche per la parità di genere.
Senza il supporto e la partecipazione delle donne, il raggiungimento dell’Agenda 2030 risulta un traguardo improbabile.
A proposito di conciliazione, mi preme parlare anche dello smart working, che in italiano si traduce in “lavoro agile”. Si tratta di un nuovo modo di lavorare, moderno e innovativo, su cui la Regione Emilia-Romagna, prima in Italia, ha avviato una sperimentazione di un anno che ora è entrata a pieno regime e che interessa già ben 427 persone su 3.795 dipendenti (11% dell’organico di cui donne il 67%). Il lavoro agile, basato sulla responsabilizzazione del collaboratore e il ricorso agli strumenti digitali e informatici, offre elevati livelli di flessibilità che da un lato aiutano l’organizzazione a essere più efficace e dall’altro consentono alle persone, nelle giornate in cui appunto operano in modalità Smart, di poter far spazio ad esigenze di vita privata, di cura familiare e di benessere personale che diversamente sarebbero estremamente sacrificate. Un rinnovamento della modalità di lavoro nella pubblica amministrazione che viene incontro alle esigenze dei lavoratori, con un occhio di riguardo verso le donne, che possono così continuare a lavorare senza rinunce, conciliando con più facilità i tempi di vita con quelli lavorativi, garantendosi uno stipendio pieno con positive ripercussioni anche sul valore della pensione di domani.
Altra questione fondamentale: gli asili nido, i centri estivi per i bambini. La promozione e il sostegno del sistema integrato di asili nido è una tematica strettamente legata con quella della partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Offrire una rete diffusa di questi servizi è un incentivo all’occupazione femminile e di conseguenza alla parità di genere. Parliamo quindi della necessità di dare contributi per la formazione del personale, il miglioramento dell’offerta educativa attraverso interventi che prevedano un potenziamento della compresenza tra docenti, l’accoglienza dei bambini disabili, la valorizzazione del coinvolgimento dei genitori e altro ancora. A questo si aggiunge l’importanza anche dei Centri estivi per bambini e ragazzi in modo da sostenere e dare una mano alle famiglie dove entrambi i componenti lavorano. Per fare un esempio in Regione negli ultimi due anni abbiamo assegnato 6 milioni di euro nel 2018 e altrettanti nel 2019 come contributi alle famiglie con reddito Isee annuo sotto i 28 mila euro.
I diritti delle donne sono diritti di civiltà e per questo dobbiamo essere coesi e uniti. Per rendere le azioni efficaci è essenziale che tutto ciò sia accompagnato da politiche finalizzate a cambiamenti anche culturali tesi a decostruire modelli stereotipati di femminilità e maschilità e diffondere la condivisione degli impegni di cura tra donne e uomini. Sono troppi i preconcetti che frenano il vero raggiungimento della parità tra sessi a cui spesso neache diamo importanza, perchè ormai sedimentati nella nostra mentalità. L’elemento cardine attorno al quale ruota tutto è la cultura e lì bisogna agire. Solo mediante un diverso approccio culturale sul ruolo della donna possiamo cambiare le cose. Siamo reduci da una esperienza di Governo autrice di un imbarbarimento culturale e di una crescita inaudita di un clima di odio che si riversa con un concetto della famiglia che riporta indietro la lancetta ai tempi in cui la donna sottostava all’uomo e al ripensamento di diritti civili conquistati con fatica negli anni. Un esecutivo che mentre si riempiva la bocca con parole come “natalità” e “famiglia” non ha introdotto nulla per le donne lavoratrici, per la maternità, per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Avanzando però, questo sì, proposte e affermazioni tristemente retrograde e reazionarie quali la messa in discussione della legge 194 e il divorzio. Una donna valorizzata dal punto di vista professionale e quindi anche economica porta tantissimo valore aggiunto anche all’interno della famiglia nel rapporto con i figli, con i parenti e in generale nella società tutta.
In veste di assessora della Regione Emilia-Romagna ci tengo anche a riportare alcune misure che in questi anni di legislatura abbiamo introdotto per promuove la Responsabilità sociale di impresa per l’affermazione di un modello di sviluppo sostenibile, sostenendo le imprese, le parti sociali e gli enti territoriali impegnati a coniugare le varie istanze economiche con l’attenzione all’impatto sociale e ambientale. Con il Patto per il lavoro la Regione ha condiviso con la comunità regionale l’impegno per un modello di sviluppo aperto, inclusivo e sostenibile, coerente con gli obiettivi di sostenibilità indicati dall’Onu con l’Agenda 2030.
È necessario continuare a lavorare in questa direzione di valorizzazione e sostegno del lavoro femminile e della parità di genere. Nonostante il contesto nazionale, sono contenta di portare l’esempio dell’Emilia-Romagna in quanto regione virtuosa con un tasso di occupazione femminile al 63,7% di oltre 10 punti superiore alla media nazionale e che dunque può essere di ispirazione e da traino per le altre realtà.
Le politiche di personale della RER in relazione alle politiche di genere e di conciliazione.
Quadro dei ruoli per genere in RER al 1° novembre 2019
Direttori | % | Dirigenti | % | PO | % | Funzionari | % | Impiegati | % | Totale | % |
M | 57% | M | 51% | M | 47% | M | 39% | M | 34% | M | 38% |
F | 43% | F | 49% | F | 53% | F | 61% | F | 66% | F | 62% |
T | 100% | T | 100% | T | 100% | T | 100% | T | 100% | T | 100% |
- Flessibilità orario di lavoro: la regione da almeno 10 anni ha introdotto l’orario flessibile per tutti i dipendenti (l’orario minimo giornaliero obbligatorio è di 4.30 ore). Per chi ha bisogni di cura con minori in età scolastica (dal nido alle superiori) e anziani sono previste agevolazioni ulteriori in entrata (ingresso fino alle 11) e uscita (dalle 15) per agevolare le cure familiari
- Part-time: essendo sotto alla percentuale del 20% limite è una opzione aperta su cui abbiamo rarissimi dinieghi. Ma l’istituto, con i suoi risvolti economici, è progressivamente in disuso perché sostituito da altri (vedi oltre)
- Smart working e telelavoro: il Telelavoro è attivo da anni. Abbiamo attivato in via definitiva l’istituto dello smartworking da settembre 2019 dopo 16 mesi di sperimentazione e guida del progetto Vela. I numeri:
- 427 smartworkers su 3.795 dipendenti: 11% dell’organico di cui donne il 67%. Qua in caso di domande superiori ai budget di tecnologie disponibili, ha priorità chi ha problemi di cura. In particolare, minori
- 500 telelavoratori su 3.795 dipendenti: 13% dell’organico di cui donne oltre il 70%. Nella concessione del telelavoro ha diritto di accesso chi ha problemi di cura (leggi 104 e/o minori in età scolare)
- Welfare aziendale: abbiamo aggiunto nel 2019 una quarta colonna al welfare regionale che è composto da:
- Filonido: nido agevolato per dipendenti regionali in convenzione con il comune di Bologna. Le lavoratrici regionali con bimbi in età nido possono accedere a nidi in prossimità degli uffici.
- Trasporti: tutti i dipendenti regionali godono di trasporti pubblici (treni + bus) agevolati per facilitare la mobilità casa-lavoro
- Assicurazione sanitaria: la regione garantisce copertura sanitaria ai dipendenti che possono, volontariamente, integrarla ed estenderla alla famiglia.
- Welfare vero e proprio: è nuovo e garantisce rimborsi per spese sanitarie e/o estensioni delle coperture sanitarie.
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