Al congresso nazionale della Lega Autonomie. Il mio contributo
Un rinnovato impegno di Regioni, province e comuni per rendere il sistema multilivello in grado di rispondere a problemi che sono allo stesso tempo globali e locali alla luce della complessità che caratterizza gli attuali contesti sociali.
Quella di oggi è l’occasione giusta per riflettere su quali obiettivi, quali iniziative, quali valutazioni politiche occorre compiere, in questa fase, per rendere il sistema multilivello capace di rispondere a problemi che sono allo stesso tempo globali e locali alla luce della complessità che caratterizza i contesti sociali continuamente esposti a mutamenti che sappiamo essere epocali e che inevitabilmente si ripercuotono su tutti coloro che condividono responsabilità di governo.
È una questione che tocca le istituzioni nel loro senso più profondo, come sedi che hanno come propria intima missione quella di sostenere i cittadini verso la soddisfazione di bisogni che non potrebbero realizzare da soli.
Sappiamo qual è il “faro” che ci guida se ci muoviamo secondo le direttrici tracciate dalla nostra Carta costituzionale, così come evolutesi a seguito della riforma del titolo V, parte II, del 2001 quale approdo di un processo di evoluzione legislativa che, in circa un decennio, aveva fortemente investito sul governo locale, introducendo regole – su tutte l’elezione diretta – strumentali a responsabilizzare i governi territoriali nei confronti della collettività di riferimento. Mi riferisco dapprima alla legge che ha introdotto l’elezione diretta dei Sindaci, poi della legge costituzionale del 1999 che ha previsto l’elezione diretta dei Presidenti delle Giunte regionali: parti di un disegno che nel frattempo aveva anche prodotto il più forte processo di decentramento di funzioni a Costituzione invariata con le riforme Bassanini del 1997.
Sappiamo quindi che l’azione di ciascun livello di governo deve ispirarsi a un nucleo di regole e principi unificanti: dall’unità giuridica ed economica della Nazione, alla leale collaborazione fra Stato, regioni e autonomie locali quale fondamento essenziale del sistema stesso, fino alla distribuzione delle funzioni secondo principi di sussidiarietà differenziazione e adeguatezza.
Non occorre qui ripetere l’importanza e la centralità che, per la Regione Emilia-Romagna. ha sempre assunto l’esigenza di perseguire il più equilibrato rapporto possibile fra proprio il ruolo legislativo della Regione stessa e il capillare presidio delle funzioni da parte di tutti i livelli di governo territoriale.
L’importanza di conservare questo equilibrio e farlo corrispondere dinamicamente, in termini di adeguatezza, alle pressanti esigenze presenti nei territori costituisce indubbiamente un tratto al contempo distintivo e qualificante che storicamente orienta le scelte della Regione Emilia-Romagna. Una vera e propria cifra identificativa cui è stato attribuito particolare rilievo anche in questa legislatura: sia all’atto di procedere al riordino istituzionale disposto con la l.r. 13/2015 attuativa della nota riforma Delrio sia, soprattutto, nel proporre al Governo l’iniziativa per l’acquisizione di ulteriori forme e particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, comma III, della Costituzione.
Gli assi portanti della governance territoriale in Emilia-Romagna e la convergenza di Regione, Città Metropolitana, Province e Comuni nelle principali scelte della legislatura, dalla legge regionale 13 del 2015 alle nuove linee di indirizzo politico sul riordino territoriale fino agli assi portanti dell’iniziativa per il regionalismo differenziato.
Come Regione ci siamo trovati nella necessità di dover affrontare il completamento del processo di riordino – già avviato nella precedente legislatura – delle competenze e delle funzioni locali, a fronte di scelte in parte già compiute dal legislatore statale con la legge 56/2014 che imponevano un forte contingentamento delle tempistiche di adeguamento. È in questo quadro, gravato da notevoli complessità, acuite dalla costante contrazione di risorse, soprattutto a carico delle province che si è proceduto a un riassestamento complessivo del governo regionale e locale, assolutamente più ambizioso rispetto ad un mero adeguamento alla legge Delrio.
Sia sul piano istituzionale che, soprattutto, su quello funzionale si è inteso confermare, nonostante le numerose criticità e malgrado un contesto di elevata precarietà determinato dalla stessa transitorietà della legge Delrio, in attesa della riforma costituzionale, un assetto che rispecchiasse fedelmente la tradizione di governo dell’Emilia-Romagna incentrata sull’attribuzione alla Regione di un ruolo di indirizzo, panificazione e controllo; sulla configurazione della Città Metropolitana (nuovo soggetto preposto al governo dell’area urbana) e delle province (livello intermedio destinato ad un forte ridimensionamento del suo ruolo fino al suo previsto superamento quale ente costitutivo della Repubblica) come livelli preposti alle funzioni di area vasta provinciale secondo un profilo determinato dall’individuazioni di alcune competenze fondamentali e dalle scelte rimesse alla Regione. Infine, e soprattutto, sul riconoscimento ai Comuni e alle loro forme associative, delle funzioni di prossimità. Concetto, questo, che racchiude, fino in fondo la logica della sussidiarietà quale principio che, in ossequio a una tradizione intimamente radicata nella cultura amministrativa del Paese, identifica dapprima nelle formazioni sociali, quindi, nelle figure istituzionali ad esse più vicine, il soggetto cui ciascun cittadino spontaneamente si identifica e, al contempo, è spinto a rivolgersi per ricercare il soddisfacimento dei propri bisogni.
È proprio avendo a mente questi punti di riferimento che ci accingiamo peraltro ad affrontare un ulteriore fase di transizione istituzionale ora che, di qui a breve termine, a seguito dell’imminente rinnovo degli organi di governo provinciale di secondo grado, tornerà inevitabilmente a riproporsi il tema del nuovo profilo funzionale delle province e delle rinnovate relazioni interistituzionali fra di esse i comuni. In questa prospettiva si fa strada la convinzione, che pure si motiva in ragione degli sforzi prodotti negli anni a sostegno delle Unioni, che sia necessario investire su di un più forte ruolo di indirizzo e coordinamento delle province e su un sempre maggiore sostegno ai comuni nell’esercizio della loro vocazione alla prossimità cui si faceva riferimento poc’anzi. L’esperienza degli ultimi decenni dimostra infatti come i numerosi tentativi di razionalizzazione e semplificazione amministrativa perseguiti rischino di fallire in assenza di una forte coesione politica e di una lucida condivisione di obiettivi strategici. Nell’agenda politica di tutti i livelli istituzionali deve tornare ad attribuirsi priorità assoluta alla qualità dell’azione amministrativa e alle soluzioni per praticarla. La Regione e i Comuni dell’Emilia-Romagna, su questa consapevolezza, hanno compiuto di recente un ulteriore, forte, investimento sul ruolo delle Unioni che dovrà incrementare l’omogeneizzazione delle regole e delle soluzioni organizzative attraverso cui si esercitano le funzioni di prossimità di una scala territoriale più ampia. Non sarà solo con questo che si potrà rispondere al problema gravissimo – su cui in questa sede è quantomai opportuno riflettere – dell’impoverimento sistematico degli apparati strumentali delle nostre amministrazioni e al progressivo venir meno di professionalità tecnica che questo comporta, specie a fronte di problematiche territoriali che mai come in quest’epoca – penso alle urgenze di messa in sicurezza infrastrutturale o alle varie tematiche ambientali – richiedono all’opposto risposte di elevatissimo spessore tecnico-scientifico.
È molto dubbio che a fronte di tali esigenze di riqualificazione dei profili tecnici delle amministrazioni, possano ritenersi sufficienti misure di mero controllo degli adempimenti formalmente richiestigli quali quelle che negli ultimi anni hanno contraddistinto troppo spesso la legislazione sul personale pubblico traducendosi, in primo luogo, nel sistematico isolamento di chi, come voi sindaci, assume su di sé rilevanti carichi di responsabilità. Vi è, all’opposto, una non più procrastinabile necessità di riconferire massima dignità alla funzione pubblica e totale valore alle parole con cui la Costituzione disegna i tratti del funzionario pubblico quale servitore esclusivo non dello Stato, della Regione, della Provincia o del comune, ma della Nazione.
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Lungo la medesima direttrice che ho cercato, sin qui, di illustrare, si è snodata l’iniziativa di cui la Regione Emilia-Romagna si è fatta promotrice a partire dall’agosto 2017 al fine di acquisire, secondo il disposto dell’art. 116, comma III, della Cost., ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
Non mi soffermo in questa sede sulle modalità, pienamente partecipate e informate alla massima concertazione sia con tutte le forze politiche presenti in Assemblea legislativa, sia con il sistema delle istituzioni territoriali e delle loro associazioni rappresentative – su tutti Anci e Upi Emilia-Romagna -che con le rappresentanze delle categorie economico-sociali firmatarie del Patto per il lavoro della Regione Emilia-Romagna. Mi preme piuttosto valorizzare alcuni profili di fondo che abbiamo voluto porre a base della nostra proposta di differenziazione.
Una proposta che si fonda in primo luogo sulla volontà di conseguire l’incremento degli strumenti per le politiche territoriali, ma nella convinzione che si possa e si debba tenere in equilibrio la differenziazione territoriale con i principi cardine dell’unità giuridica dell’ordinamento, della coesione territoriale intesa come garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni in termini omogenei su tutto il territorio nazionale e della salvaguardia dei meccanismi di perequazione e di cooperazione finanziaria interregionale.
Proprio il rilievo conferito a tali principi nello sviluppo della nostra iniziativa costituiscono la più efficace garanzia che gli incrementi di competenza, che necessariamente conseguiranno dal riconoscimento alla Regione di ulteriori spazi di autonomia, non si traducano in una sorta di centralismo regionale, ma costituiranno all’opposto la premessa per rinforzare, in conformità ai valori che ho voluto rimarcare in precedenza, il ruolo essenziale degli enti locali nella duplice veste di attori cooprotagonisti delle decisioni strategiche e destinatari di ulteriori attribuzioni funzionali di prossimità, in piena attuazione dei valori della sussidiarietà e dell’adeguatezza.
In questa direzione e nella consapevolezza che inevitabilmente simili processi richiederanno pieno e adeguato sostegno sia dal punto di vista ordinamentale che da quello finanziario, assumono, nell’economia dell’iniziativa regionale, particolare rilevanza le richieste avanzate in punto di governance istituzionale e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Sotto il profilo della governance istituzionale la proposta dell’Emilia-Romagna intende valorizzare competenze legislative e amministrative differenziate volte a consentire la realizzazione di innovativi modelli di esercizio concreto delle funzioni amministrative locali, a partire proprio da quelle di prossimità. Questo dovrà consentire, secondo una visione aggiornata del portato dell’art. 118, della Costituzione, anche una diversa allocazione delle funzioni amministrative in ragione delle effettive esigenze del territorio. Lungi dal costituire una rivendicazione di competenze sull’ordinamento locale nei confronti dello Stato, l’iniziativa della Regione, se, come sembra, potrà tradursi nella sottoscr4izioen di una formale Intesa con il Governo, potrà effettivamente porre condizioni reali affinché Regioni e autonomie locali possano sviluppare appieno la loro missione, completando in tal modo, un lungo processo orientato alla valorizzazione dello Stato delle autonomie.
Sullo stesso piano si pongono gli obiettivi concernenti il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Qui, l’avere nel 2001 il nuovo titolo V della Cost. previsto tali materie fra le competenze legislative concorrenti Stato-Regioni va letto nel contesto soprarichiamato costituito dalle altre scelte di politica istituzionale orientate a rafforzare il sistema delle autonomie che si sono richiamate in precedenza. La legislazione emergenziale imposta dalla crisi economica che ha caratterizzato l’ultimo decennio ha, di fatto, affievolito la portata di questa affermazione facendo prevalere, come è ben noto, la supremazia dello Stato nel controllo delle risorse finanziarie, anche e soprattutto locali. Come emerso più volte nel corso nel dibattito politico in corso, come pure in questa sede, si devono invece costruire le condizioni favorevoli per porre in equilibrio il doveroso rispetto dei vincoli di finanza pubblica con la possibilità, all’interno del territorio regionale, di consentire una capacità virtuosa di spesa a sostegno di politiche territoriali. Occorrono indubbiamente leve di distribuzione interne al sistema territoriale di tipo verticale e orizzontale che consentano di liberare risorse finanziarie a sostegno degli investimenti, nella cornice di un unico tetto di spesa regionale. Si tratta, in fondo, di riconoscere rilievo costituzionale attraverso una legge statale rinforzata quale sarà quella di approvazione dell’Intesa, secondo quanto previsto dall’art. 116, comma III, di un meccanismo che la Regione e i suoi enti locali hanno già sperimentato con profitto in via ordinaria, con l’approvazione, nel 2010, della l.r. n. 12 che introduceva il Patto di stabilità della Regione Emilia-Romagna.
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