A Modena alla Festa nazionale dell’Unità ad un dibattito su Nilde Iotti
Innanzitutto voglio ringraziare gli organizzatori di questo dibattito per l’invito e per aver pensato di proporre un momento di riflessione su una figura cruciale della politica italiana e non solo della sinistra, quale è quella di Nilde Iotti, a cento anni dalla sua nascita.
Partendo da tutto ciò che racchiude e sta a significare la storia di Nilde potremmo parlare per giorni interi. E’ evidente che per ovvi motivi dobbiamo cercare di contestualizzare i nostri ragionamenti e io vorrei farlo provando ad attualizzare la storia di questa donna straordinaria all’evoluzione storica del nostro paese e a cosa siamo oggi.
Non sta a me qui oggi raccontare la storia di Nilde Iotti in quanto tale: presumo, penso e spero che tutti ne conoscano i tratti salienti.
Mi interessa di più soffermarmi, seguendo il titolo del dibattito, su quelle che, partendo dall’esempio di Nilde, sono le battaglie che in primis interessano e riguardano le donne, in politica ma non solo.
E allora se partiamo ad esempio dal tema più generale dei diritti, mi piace ricordare una frase molto significativa che pronunciò la Iotti in un suo intervento all’Assemblea Costituente nel 1946.
Disse che “dal momento che alla donna è stata riconosciuta nel campo politico la piena eguaglianza col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti campi della vita sociale, e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di donna e di cittadina”.
Sono parole di una forza straordinaria e più che mai attuali. Attuali perché di fronte alle tante battaglie e conquiste delle quali noi donne oggi possiamo andare fiere, portate avanti da donne coraggiose come Nilde, ancora c’è tanto da fare. Penso ad esempio a quelle donne che quando decidono di formare una famiglia vengono poste di fronte a un bivio e sono spesso costrette a scegliere tra vita familiare e vita lavorativa. In questo la politica può fare tanto mettendo in campo iniziative che consentano la migliore conciliazione possibile tra tempi di vita personale e tempi di lavoro.
Ecco la contestualizzazione di cui parlavo all’inizio, per riportare fatti ed esempi concreti.
Noi ad esempio in Emilia-Romagna abbiamo cercato di non stare con le mani in mano su questo tema ed abbiamo investito risorse continuativamente negli anni.
Cito solo l’ultimo esempio, risalente alla fine del 2019: abbiamo finanziato con 1 milione di euro 42 iniziative per sostenere percorsi di carriera e conciliazione tra tempi di lavoro, vita e impegni di cura proprio mirati alle donne.
In Emilia-Romagna, con il 63,7% di donne che lavorano, si registra un’occupazione femminile superiore di oltre 10 punti percentuali rispetto alla media nazionale. Elemento chiave per aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e garantire un’adeguata presenza femminile nelle posizioni apicali è il tema della conciliazione tra vita familiare e attività lavorativa. Oltre al valore etico di questi progetti, mi preme sottolinearne anche la positiva ricaduta economica che ne deriva, sia all’interno delle singole realtà familiari che per tutto il tessuto sociale. Con questo finanziamento abbiamo voluto valorizzare ulteriormente iniziative di welfare aziendale attraverso un lavoro di squadra con pubblico e privato.
Attenzione, non conosciamo ancora perfettamente i dati relativi alla ricaduta, ahimè negativa, sui dati occupazionali a seguito del Covid-19, ma presumo sia lecito pensare che essa riguardi i lavori in modo trasversale indipendentemente dal sesso.
C’è però un dato fornito da Unioncamere che mi ha sorpreso e allo stesso tempo addolorato se così si può dire, ed è quello relativo alla nascita di nuove imprese femminili, che ovviamente tra aprile e giugno ha visto un calo di 10mila unità rispetto allo stesso trimestre del 2019. Questo calo, pari a oltre il 42,3%, è superiore a quello registrato dalle attività maschili (35%). Anche per effetto di questo rallentamento delle iscrizioni, sul quale ha inciso il lockdown, a fine giugno l’universo delle imprese femminili conta quasi 5mila unità in meno rispetto allo scorso anno.
E noi ora tra i tanti problemi che questo paese si trova ad affrontare dovremo proprio ripartire da qui, con obiettivi nuovi e con sguardo lungimirante, con le donne che devono essere ascoltate e considerate, perché ormai è chiaro che rappresentino un motore prezioso di un nuovo modello di sviluppo.
nel 2019, si sono dimesse dal lavoro, in Italia, 37 mila neo mamme.
Una tendenza dalle dimensioni già di per sè preoccupanti che con la crisi socio-economica legata al Coronavirus, rischia di aggravarsi ulteriormente.
Secondo una prima lettura, circolata all’inizio dell’emergere della pandemia, l’emergenza avrebbe colpito tutti indistintamente, in maniera ‘democratica’.
Purtroppo però sappiamo che non è così: perché nelle situazioni di crisi a rimetterci sono sempre le persone più fragili.
In una società in cui persistono evidenti fratture sociali ed economiche tra le persone, ad essere colpiti maggiormente dalle crisi sono quelle donne e quegli uomini già più in difficoltà.
Mi vengono in mente appunto le donne e le madri che lavorano, i giovani, i precari, gli stagionali, i frontalieri, una buona parte degli autonomi, le persone sfruttate. Penso poi ad esempio alle persone disabili e alle loro famiglie. Non è vero che l’epidemia ha colpito tutti in egual misura, purtroppo non è così.
C’è una cosa che ha detto Papa Francesco che mi è rimasta particolarmente impressa: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.
Ecco, penso che questa sia la chiave di volta. Si deve partire da questo assunto, e non lo dico per retorica. Tutte le crisi, anche quelle più drammatiche, offrono anche delle opportunità. Per cambiare, in meglio. Oggi, nel pieno di questa situazione, è quindi fondamentale lavorare perché questa crisi diventi occasione di un ripensamento che metta al centro le donne, la persona e i suoi bisogni, integrando meglio le politiche sanitarie, sociosanitarie e sociali per prevenire l’emergere di altre povertà e coordinare una risposta capillare ai bisogni delle comunità, in cui ciascuno faccia la propria parte.
Viviamo in un Paese per molti aspetti ancora arretrato per quanto riguarda la cultura e le misure che rendono effettiva la parità di genere, in tutti gli ambiti, da quello lavorativo, familiare e sociale, basta anche semplicemente prendere come esempio alcuni recenti fatti di cronaca: la presidente leghista Donatella Tesei che a pochi mesi dalla sua elezione decide di abrogare la delibera che dava la possibilità alle donne di aborto farmacologico in day hospital e a domicilio (limitando dunque la facoltà delle donne di scegliere quale metodo utilizzare per interrompere la gravidanza e obbligandole a un ricovero ospedaliero di più giorni, soluzione ovviamente più invasiva); il vilipendio a cui è stata esposta la modella di Gucci, vittima di derisioni e attacchi pesantissimi sul web, perché considerata “brutta”, fuori dai tradizionali stereotipi di bellezza a cui le pubblicità, le riviste e la televisione ci hanno abituato in questi anni (di un uomo sarebbe potuto accadere? Molto difficile…); i continui attacchi di matrice sessista alle donne con ruoli di potere e visibilità, da ultimo quelli rivolti alla nota giornalista riminese Giulia Innocenzi.
E, ahinoi, non si tratta solo di un problema italiano, ma molto più esteso. Guardiamo ad esempio a quanto accaduto in Polonia, paese che sappiamo essere fortemente nazionalista, uscito pochi mesi fa dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne subito dopo la rielezione di Duda. Nel bel mezzo di una pandemia, è stato tra i primi atti del Governo. E’ purtroppo l’ennesima conferma che su questi temi non solo in tutta Europa, c’è moltissima strada da fare, perché continuamente rimessi in discussione, in equilibrio instabile, usati come bandiere da alcune forze politiche che altro non vogliono che reprimere l’autonomia delle donne per ottenere qualche voto in più.
Riconoscere l’esistenza di questa ferita sociale e culturale, di questa profonda discriminazione, è il primo passo da compiere per combatterla.
Come ho già detto, in Emilia-Romagna possiamo dire di trovarci in un’isola felice: abbiamo lavorato tanto per promuovere iniziative contro gli stereotipi di genere, soprattutto a contatto con le scuole e le nuove generazioni; abbiamo una rete di centri antiviolenza ben strutturata, diffusa e con un personale altamente qualificato; abbiamo, come ho già detto, un’occupazione femminile di oltre 10 punti superiore alla media nazionale e oltre 85 mila imprese femminili.
Si tratta di un risultato frutto di una grande attenzione sul tema e di un corollario di misure e interventi volti a favorire l’ingresso e la permanenza femminile nel mercato del lavoro, su cui anche nella nostra Regione, però bisogna continuare a insistere. Il percorso, di certo, non si può dire concluso.
Quando parliamo di donne e lavoro non possiamo non parlare di smart working, su cui come Emilia-Romagna abbiamo sempre creduto investito. Quando ero assessora alle risorse umane siamo stati la prima Regione a sperimentarlo sugli impiegati dell’ente per poi farlo entrare a pieno regime già l’anno scorso.
Questa pandemia ha rappresentato un grande laboratorio per testare la sua reale efficacia e le sue potenzialità.
Parliamo di una forma di lavoro che non guarda alle scadenze e alle timbrature, ma agli obiettivi, ai progetti. Non importa il “dove”, se a casa o in un altro luogo, ma il “come”. Tra i molteplici vantaggi ha quello di rispondere, per la sua flessibilità negli orari, al grande tema della conciliazione vita e lavoro, che come sappiamo riguarda soprattutto le donne, sui cui ancora nella maggior parte dei casi grava il lavoro di cura. Uno strumento a mio avviso molto utile, su cui però c’è un “ma”. Serve infatti un intervento complessivo perché in assenza di regolamentazioni a rimetterci sono sempre i lavoratori meno tutelati, ovvero coloro ad esempio che non hanno la possibilità di esercitare un ancora teorico “diritto alla disconnessione” e quindi lavorano molto di più, o chi, per esempio, non può avvalersi del “dirittto alla connessione” perchè non è in possesso degli strumenti tecnologici adeguati o vive in una zona in cui non c’è connessione.
Quello delle donne e lavoro è un tema da cui partire, con ancora più convinzione oggi. Un Paese diseguale è un Paese più povero, più debole. Soprattutto quando si parla di un Paese in cui una buona parte della popolazione (le donne) non lavora ed è vittima di ingiuste discriminazioni.
Vorrei provare poi a dare un breve contributo rispetto ad un altro tema, che è quello relativo all’attività politica e istituzionale delle donne, perché una domanda che mi fanno spesso riguarda la curiosità di sapere se vi siano difficoltà particolari che si incontrano proprio in qualità di donna rispetto al ruolo svolto.
Ecco su questo devo dire che personalmente la mia esperienza è positiva.
Posso dire con soddisfazione di lavorare e amministrare in una Regione, l’Emilia-Romagna, che in questi anni si è impegnata per la parità di genere, anche e soprattutto in ambito lavorativo. Lo abbiamo fatto intervenendo sui fattori culturali attraverso bandi mirati proprio a promuovere la parità tra uomini e donne. Per questo posso affermare che sì, ci sono indubbiamente difficoltà nel lavoro di amministratrice, ma non in quanto donna. Non in quanto donna emiliano-romagnola.
Quando nella scorsa legislatura ero assessora alle pari opportunità abbiamo finanziato progetti rivolti alle donne per oltre 3 milioni di euro per promuovere una cultura della parità. Tra queste ricordo il bilancio di genere, uno strumento con cui l’amministrazione può valutare le proprie scelte al fine di migliorare e ricalibrare le priorità di intervento rispetto ai bisogni delle cittadine e dei cittadini. Poi ci sono stati bandi, a partire dal 2016, per contrastare gli stereotipi sessisti.
Ma a dire la verità, se devo dire che nel nostro territorio ho incontrato particolari difficoltà in quanto amministratrice donna devo dire di no; per fortuna (anzi per capacità e cultura istituzionale) viviamo in una terra che su questi temi ha sempre avuto posizioni avanzate e progressiste.
Rispetto ad esempio alla legge Golfo-Mosca sulla parità di genere nei cda,
la nostra esperienza è positiva perché già dal Documento di economia e finanza del 2019 vi è contenuto il dispositivo relativo all’adeguamento delle società in house e di quelle a controllo pubblico relativamente al rispetto della legge sull’equilibrio dei generi. E’ la prima volta che il DEFR ha contenuto tale indirizzo ed è un fatto politicamente rilevante.
Dopo l’approvazione della legge, si può tranquillamente affermare che la nostra regione si è attivata per adeguarsi alla disciplina statale facendo in modo che nella composizione degli organi amministrativi e di controllo delle società in house sia complessivamente rispettato il principio di equilibrio di genere, almeno nella misura di un terzo, e in alcuni casi anche superiore.
Mi avvio verso la conclusione ma c’è un tema che secondo me non possiamo non toccare e riguarda la situazione relativa alle statistiche sul numero delle nascite in Italia, che a mio avviso va monitorata con molta preoccupazione. ll Bilancio demografico nazionale 2019 dell’Istat infatti è desolante. Si tocca il minimo storico di nascite dall’unità d’Italia: siamo a circa un calo del 5% che significa più o meno 20mila bambini nati in meno rispetto all’anno precedente.
Non c’è la bacchetta magica che possa risolvere questo problema ma sicuramente per raggiungere quest’obiettivo sono indispensabili politiche a sostegno della natalità e della famiglia davvero incisive, che ancora non si sono viste nel nostro paese.
E sono proprio quelle politiche di conciliazione famiglia lavoro di cui parlavo prima oltre a quelle di un vero e proprio sostegno economico oltre ad una politica fiscale che favoriscano la decisione di una coppia di fare figli, cosa che spesso purtroppo rimane un desiderio che non si concretizza, anche per motivazioni reali e materiali.
Ecco, e chiudo davvero, io credo che oggi noi donne che siamo impegnate in politica, ma non solo noi sia chiaro, abbiamo il compito di portare avanti queste istanze, perché l’obiettivo di una maggiore libertà di scelta della donna, unita ad una situazione di maggiori opportunità in ambito professionale ma non solo, lo si raggiunge con determinazione e tenacia, che sono caratteristiche e virtù che donne come Nilde Iotti, con il loro esempio di vita e di militanza ci hanno testimoniato e che noi abbiamo il dovere e l’obbligo morale a mio avviso di perseguire e anche di tramandare.
Grazie
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