A Ferrara a un convegno organizzato da COPMA Scrl

COPMA Scrl in anni di crisi ha saputo presentare progetti di cooperazione e sviluppo altamente qualificanti per la nostra regione e per il nostro Paese.
A Ferrara abbiamo avuto l’occasione per ragionare su un futuro fatto di innovazione, welfare, sostenibilità, integrazione e ovviamente cooperazione. Ci ho tenuto a porre l’accento sul protagonismo femminile nel mondo delle coop.
Ringrazio la presidente COPMA 𝐒𝐢𝐥𝐯𝐢𝐚 𝐆𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢, il direttore Filippo Barbieri e il presidente di Legacoop Nazionale Simone Gamberini per il loro lavoro costante.

Il mio intervento

Buongiorno a tutte e a tutti,

ringrazio la presidente Silvia Grandi per l’invito a essere qui oggi, per conoscere e sostenere una realtà importante come questa cooperativa, un esempio di impegno civile e sociale all’insegna dei più sinceri valori cooperativi.

Un saluto particolare anche a Simone Gamberini, con i migliori auguri per il suo nuovo impegno al vertice nazionale di Legacoop, all’assessore Andrea Maggi e al Presidente del Parco, Giuseppe Vignali.

Per me essere oggi qui vuol dire riconoscere il ruolo e l’impegno sociale che dal 1971 Copma dà alla crescita della nostra regione in termini di buona occupazione e di tutela del territorio.

Quando ho ricevuto la lettera di invito da parte della presidente Grandi mi hanno molto colpito alcuni numeri, in primo luogo che Grandi sia una delle poche donne a presiedere un’azienda di queste dimensioni, ma soprattutto che i due terzi dei componenti del consiglio di amministrazione siano donne, così come l’80% dei soci lavoratori.

Non si tratta solo di statistiche, ma di riconoscere la forza del movimento di emancipazione femminile all’interno del più vasto mondo cooperativo.

La Regione Emilia-Romagna sostiene da sempre lo spirito del movimento cooperativo, inteso come luogo di crescita collettiva, di capacità di coniugare sviluppo economico, visioni strategiche  e coesione sociale.

Una fiducia ben riposta come dimostrato dalla decisione resa pubblica nei giorni scorsi da Coop Alleanza di tenere fermi i prezzi di 600 prodotti nonostante l’aumento dell’inflazione di questi mesi rinunciando così a 45 milioni di euro di entrate pur di dare il proprio contributo al contrasto del carovita.

Scorrendo il vostro bilancio sociale quello che più colpisce è la vostra capacità di tenere insieme la produzione di valore, anche economico, per la vostra impresa con azioni e prodotti capaci di migliorare la sostenibilità complessiva della vita sul territorio: meno inquinamento, meno utilizzo di sostanze chimiche, più impegno per la redistribuzione del lavoro e del profitto. Questo è il punto di forza del vostro impegno, una sfida che avete vinto anche durante i momenti più duri della pandemia da Covid, quando siete stati fondamentali per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro e cura.

Dunque, contrariamente a quanto sostiene una parte – seppure minoritaria – delle forze politiche, soprattutto tra quelle attualmente al governo – non è vero che la soluzione alla sempre maggiore necessità di welfare famigliare sia il ritorno delle donne alla sfera privata.

E’ vero altresì il contrario: una comunità dove le donne hanno più diritti è una società più giusta e di maggiore crescita. Si rafforza così, come ci ricorda sempre il professor Stefano Zamagni, quel “il capitale sociale” che è  il vero e unico collante di una società.

Purtroppo, anche in Emilia-Romagna la strada verso il superamento di antichi vincoli e ritardi è notevole: scorrendo l’ultimo Bilancio di genere redatto dalla Regione Emilia-Romagna si scopre che, benché in regione il tasso di occupazione femminile sia molto più alto rispetto alla media nazionale, lungo la via Emilia la percentuale di attività femminile nella fascia 15-64 anni è pari al 66,5%, circa 12 punti percentuali in meno rispetto al valore stimato per gli uomini.

Si tratta del persistere di una situazione di violazione del principio costituzionale delle pari opportunità che è stata resa ancora più forte dagli effetti economici e sociali della pandemia: a perdere il lavoro e a licenziarsi per assistere figli e anziani alle prese con la mancanza di servizi di sostegno sono state in gran parte le donne.

Sono state le donne perché molto spesso sono quelle che in una famiglia guadagnano meno e quindi il loro stipendio viene considerato sacrificabile.

Sono state le donne perché svolgono i lavori più poveri e quindi quelli più penalizzati dalla pandemia.

Sono state le donne perché, semplicemente, viviamo ancora in una società dove la donna e il suo futuro sono variabili dipendenti all’interno di una coppia o di una famiglia. Se sacrificio deve essere, che il sacrificio sia quello della donna.

Non va molto meglio quando si guarda alla composizione dei consigli di amministrazione.

Molto spesso la parità di genere si ferma sulla soglia dei cda: banche, aziende, società partecipate. Troppo spesso “dove si decide” le donne sono poche e in posizione subordinata.

Come risolvere questa disparità? Ne abbiamo parlato proprio ieri in Assemblea legislativa in occasione di un convegno organizzato insieme a Federmanager e ManagerItalia dove è stato presentato “Women on Board 2023”, un progetto volto proprio a ridurre le disparità di accesso delle donne ai vertici delle imprese.

Quello che è emerso è che serve uno scatto tanto sotto il profilo legislativo, quanto su quello culturale. Così come serve un riscatto del mondo del lavoro, un ritorno ai valori della Costituzione. Come ci ha ricordato proprio Simone Gamberini nel suo discorso di insediamento alla guida di Legacoop nazionale occorre superare le storture degli ultimi anni, in primo luogo la logica del massimo ribasso e quella delle delocalizzazioni per imboccare, al contrario, quelle della conciliazione dei tempi di vita e lavoro e della sostenibilità ambientale.

Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui questi valori vengono demoliti in nome del profitto e della sottomissione alle regole di un mercato troppo veloce, sfrenato, in grado di consumare la vita di una donna e di un uomo nel giro di pochi anni.

La povertà è tornata ad essere una colpa da punire e sanzionare come negli ultimi decenni dell’800.

La conferma è arrivata nei giorni scorsi, quando il governo italiano dopo aver promesso in campagna elettorale che si sarebbe fatto carico dei bisogni della parte meno ricca della società ha deciso di colpire i più deboli, chi fatica a trovare un’occupazione perché malato o non sufficientemente formato professionalmente.

Questo governo vuole allargare le maglie della precarietà aumentando il ricorso ai contratti a termine, ormai diventati la forma ordinaria di assunzione di migliaia di ragazze e ragazzi che restano precari a vita: non si tratta solo di contratti insicuri, a basso reddito, ma di forme di vero e proprio sfruttamento, di intimidazione anche, per cancellare la consapevolezza dei propri diritti e tarpare le ali alle lotte per la loro affermazione.

Poco importa che nel resto d’Europa – dal Portogallo alla Germania – si persegua la strada opposta, quella del superamento del lavoro precario e dell’approdo a settimane lavorative di quattro giorni a parità di salario per aumentare i posti di lavoro. In Italia vengono riproposte ricette vecchie, superate e smentite dai fatti.

Non si parla di salario minimo, non si parla di maggiori tutele per le lavoratrici madri. Manca il confronto con il sindacato. Non c’è nessun investimento sulla formazione professionale.

Il governo ha deciso consapevolmente di abbandonare chi è in difficoltà, una scelta cinica che si vede anche nella decisione di non rifinanziare il Sistema sanitario pubblico devastato dalle spese Covid e dall’inflazione.

Invece bisogna andare in direzione contraria. Dobbiamo quindi continuare la nostra battaglia contro il lavoro povero e precario. Dobbiamo ricostruire una società dove i diritti dei deboli non diventino mai diritti deboli.

L’elenco delle cose da fare è lungo, ma bisogna correre perché c’è molto terreno da recuperare.

Dobbiamo abolire gli stage gratuiti e i contratti pirata, introdurre il salario minimo perché sotto una certa soglia non è lavoro, è sfruttamento. Come avvenuto in Germania  e in Gran Bretagna si deve sperimentare la settimana di lavoro a quattro giorni a parità di salario.

La stella polare, poi, deve essere la parità salariale tra uomini e donne: se ne parla dal 1976, molti passi in avanti sono stati fatti, ma resta da sradicare la malapianta dell’ingiustizia, dei tanti sotterfugi con cui si cerca di aggirare la legge per perpetuare una ingiustizia di genere ormai insopportabile. In questi anni, seppur difficili perché segnati dalla pandemia e poi dalla guerra, l’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna  ha approvato importanti provvedimenti a sostegno del lavoro e della tenuta della coesione sociale. Difendendo il sistema sanitario pubblico e sopperendo ai tagli dei vari governi, si sono investite risorse sulle politiche sociale e per la formazione professionale. Un dato riassume bene il nostro impegno: tra scuola, sanità, diritto allo studio, lavoro, contrasto alle violenze, la Regione ha investito negli ultimi anni oltre un miliardo di euro a sostegno della parità di genere.

 

Così come abbiamo fortemente voluto la legge sui talenti che, approvata due mesi fa, prevede risorse e interventi per evitare che ragazze e ragazzi debbano lasciare l’Emilia-Romagna per andare all’estero a cercare un impiego qualificato.

Sono obiettivi difficili, ambiziosi. Ma anche grazie al vostro esempio so che è una battaglia che possiamo vincere.

Grazie e buon lavoro.  Tanti auguri a CoopMa .

 

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