A Cattolica all’inaugurazione di una mostra sui femminicidi

Oggi insieme alla sindaca di Cattolica Franca Foronchi, all’assessora alle Pari Opportunità Claudia Gabellini e al presidente del consiglio comunale Alessandro Montanari, ho partecipato all’inaugurazione della mostra fotografica di 𝐒𝐭𝐞𝐟𝐚𝐧𝐢𝐚 𝐏𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢 intitolata “𝑳𝒆 𝑪𝒐𝒏𝒔𝒆𝒈𝒖𝒆𝒏𝒛𝒆: 𝒊 𝒇𝒆𝒎𝒎𝒊𝒏𝒊𝒄𝒊𝒅𝒊 𝒆 𝒍𝒐 𝒔𝒈𝒖𝒂𝒓𝒅𝒐 𝒅𝒊 𝒄𝒉𝒊 𝒓𝒆𝒔𝒕𝒂”. La nostra sarà visitabile sino al 11 novembre presso il Centro Polivalente di Piazza della Repubblica.
È stata l’occasione per ricordare l’impegno della Regione Emilia-Romagna sulle politiche di contrasto alla violenza di genere e favorire una parità di genere sempre più necessaria.
IL MIO INTERVENTO

Quando tutto cade nel silenzio e si spengono i riflettori c’è chi resta, e continua a vivere le conseguenze di un femminicidio. Sono i padri, le madri, le sorelle, i figli rimasti orfani, che scontano il “giorno dopo”, fatto di spese legali, di umiliazioni, dell’odio mediatico di chi cerca di colpevolizzare la vittima.

Sono coloro che alla sofferenza devono aggiungere una battaglia quotidiana contro il pregiudizio di una società che vive ancora di stereotipi, dove la donna è considerata proprietà degli uomini e la libertà una meta a cui non si dovrebbe ambire.

Una mostra, qui al Centro culturale polivalente di Cattolica, che vuole sensibilizzare, su una tematica ancora poco dibattuta, attraverso le parole e le immagini dei familiari che, oltre a vivere il dramma di una perdita, devono fare i conti con ripercussioni che vanno oltre la drammatica vicenda.

Basta pensare ai messaggi d’odio sui social nei confronti di Alessandra Matteuzzi, uccisa brutalmente dall’ex compagno, a Bologna, ad agosto dello scorso anno, che non sono diminuiti nemmeno dopo le numerose denunce dei familiari. Commenti subdoli che cercavano di giustificare l’assassino e addossare a lei la responsabilità dell’azione omicida come: “Non era una santa neppure lei”, “Comunque come andava conciata”, “Chissà cosa gli ha fatto per arrivare a questo”.

Pensieri come questi sono l’anticamera della misoginia e della violenza di genere.

Sovvertire queste disdicevoli credenze riveste un ruolo di primo piano se si ha la volontà di abbattere pregiudizi di genere ed innescare una battaglia per una giusta causa, rivoluzionando quel sessismo ordinario che resta ancora radicato nella nostra società.

Femminicidio e violenza di genere sono emergenze sociali di estrema attualità che purtroppo rappresentano l’aspetto più drammatico della discriminazione di genere. Dopo essere stato per anni un reato sommerso, nascosto tra le mura domestiche di una società che negava, sottostimava e svalutava, il grave problema, oggi se ne parla e si interviene attraverso iniziative come questa che vanno a sensibilizzare ed intervenire in un’ottica di prevenzione.

Uno degli aspetti più importanti da sottolineare è associato al pregiudizio e all’incapacità da parte di alcuni uomini di adeguarsi ad una giusta evoluzione della società, e della morale, che vede sempre più le donne come soggetti autonomi, con libertà di scelta e di autodeterminazione. Un’emancipazione spesso vissuta come una minaccia, un vincolo rispetto al ruolo storico di dominio dell’uomo.

Questa insofferenza nei confronti della donna si manifesta in diversi ambiti e ambienti e può sfociare nella violenza psicologica ed economica, fino anche a quella fisica, con il triste primato dell’ambiente familiare dove si dispiega la rabbia, la gelosia, la violenza dei padri, diventando una prigione anziché un luogo di protezione.

Eliminare certe reticenze e comportamenti maschili all’interno della nostra comunità sarebbe un passo fondamentale per cercare di contrastare la permanenza e la diffusione un atteggiamento culturale patriarcale e assolutorio.

La gelosia, troppo spesso scambiata per eccesso di amore, e pericolosamente giustificata, è in realtà desiderio di possesso, di controllo.

La donna non viene vista come una persona portatrice di diritti, ma come ‘oggetto al servizio dell’uomo’, attraverso un illegittimo controllo sociale: stalking, mezzi telematici, diffamazione, continue svalutazione e limitazione, fino all’uso della forza e della violenza.

Le cause sono da individuare in una storica negazione dei diritti, un retaggio culturale che ci portiamo dietro da un passato fin troppo recente.

Basta pensare che fino al 1981 nel nostro Codice penale era previsto il cosiddetto ‘delitto d’onore’ che di fatto giustificava chi uccideva il coniuge in caso di una ‘illegittima relazione carnale’ attraverso pene irrisorie (da tre a sette anni), oppure il ‘matrimonio riparatore’ che metteva al ‘riparo’ da conseguenze penali chi commetteva un reato sessuale nei confronti di una donna, e come se quest’ultima dovesse in qualche modo essere riabilitata agli occhi di una società che di fatto ‘criminalizzava la vittima’.

Questa inadeguatezza dello Stato nel recepire con tempismo questa tematica, stando al passo con l’emancipazione femminile, si riflette ancora oggi con un basso numero di denunce di violenza da parte delle vittime e in una risposta tardiva e inadeguata delle istituzioni. Il sommerso e la mancata denuncia hanno un peso determinante, un problema reale che viene confermato dai dati sulla delittuosità.

I dati statistici ufficiali ci mostrano un quadro allarmante: nel nostro Paese avviene un femminicidio ogni tre giorni.

(Sole24Ore)

Il rapporto diffuso  dal Ministero degli Interni conta dal 1° gennaio al 1° ottobre 90 vittime donne (contro gli 85 dello stesso periodo del 2022), di cui 75 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 47 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.

Dati in crescita nel 2023

Per quanto attiene ai delitti commessi in ambito familiare/affettivo si evidenzia un aumento nell’andamento generale degli eventi, che passano da 101 a 115 (+14%), nonché delle vittime di genere femminile, che da 74 salgono a 75 (+1%). In aumento, rispetto allo stesso periodo del 2022, il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 49 diventano 51 (+4%). In aumento, rispetto allo stesso periodo del 2022, il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 49 diventano 51 (+4%), e quello delle relative vittime donne, che da 44 arrivano a 47 (+7%). Infine, nel periodo 25 settembre – 1 ottobre 2023 risultano essere stati commessi 11 omicidi, con 4 vittime di genere femminile uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 2 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.

l’Emilia-Romagna è al secondo posto in Italia. Su 120 femminicidi in Italia nel 2022, 11 sono stati nella nostra regione, seconda solo alla Lombardia. Un fenomeno grave che deve fare riflettere e adottare ogni strumento di prevenzione necessario.

La Regione Emilia-Romagna mette in campo tante iniziative per i diritti delle donne.

A partire dal bando contro la violenza di genere  che ha messo a disposizione di enti locali, associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, onlus 2,5 milioni di euro nel biennio 2023 – 2024 per progetti che puntano soprattutto alla prevenzione.  

Uno stanziamento in crescita rispetto ai 2,1 milioni del bando precedente che ha sostenuto 83 progetti.  

Di questi 7 in provincia di Piacenza per 106.420 euro; 4 in provincia di Parma per 164.280 euro; 9 in quella di Reggio Emilia per 246.780 mila euro; 13 in quella di Modena per 251.621 euro. Nell’area metropolitana di Bologna i progetti finanziati sono stati 28 per 830.004 euro; nel Ferrarese 3 per 80.120 euro; nel Ravennate 5 per 125.465; nel Forlivese-Cesenate 9 per 210.492; nel Riminese 5 per 68.816 euro.

Accanto a questo importante lavoro c’è tutta la rete rivolta alle donne vittime di violenza.

In Emilia-Romagna secondo i dati elaborati dall’ Osservatorio regionale  sulla violenza di genere sono 4.934 le donne che nel 2021 hanno contattato un Centro antiviolenza: oltre 300 in più rispetto alle 4.614  del 2020. Mentre sono 1.667 le chiamate al numero 1522 del Dipartimento nazionale per le pari opportunità (1.606 nel 2020), di cui 994 da parte di donne vittime di violenza o stalking (913 nel 2020).

In crescita anche le donne ospiti di Case rifugio, in prevalenza straniere: 320 nel 2021 contro le 301 dell’anno precedente. E quelle accolte in un Centro antiviolenza: 2.646 (2.335 nel 2020).

Una prima anticipazione sul 2022, limitata tuttavia a 16 Centri, rivela che tra gennaio e maggio hanno preso contatto con un Centro antiviolenza 1.749 donne, mentre le chiamate al 1522 sono state tra gennaio e marzo di quest’anno 370, di cui 191 da vittime di violenza o stalking.

La Regione Emilia-Romagna ha confermato anche per il 2023 l’impegno a favore delle donne vittime di violenza con 1,3 milioni di euro per il cosiddetto “Reddito di libertà”. La misura è rivolta alle donne vittime di violenza e prevede l’erogazione di un assegno mensile fino a 400 euro per un periodo massimo di un anno. L’Emilia-Romagna è fino a oggi una delle regioni maggiormente impegnate a integrare le risorse ministeriali.

Secondo i dati forniti dall’INPS, infatti, dall’entrata in vigore della misura al 23 novembre 2022, su 441 domande accolte in Emilia-Romagna, 264 sono state pagate grazie alle risorse regionali.

Nelle immagini della mostra ci sono i volti, gli oggetti e i luoghi che raccontano lo sguardo di chi sopravvive al femminicidio e non si arrende alla violenza di genere. Ciò che si sono trovate a vivere queste donne non è dovuto né alla sfortuna né alla colpa, ma ha radici culturali e sociali profondamente patriarcali che pongono al centro il potere al posto delle relazioni e che sfociano in una, altrettanto aberrante, narrazione distorta dei casi di cronaca.

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