In visita a Rimini la consigliera Ucraina al Consiglio d’Europa Оксана Деркач

Oggi ho accompagnato la consigliera ucraina Оксана Деркач del Council of Europe al Teatro Galli di #Rimini insieme alla consigliera e vicepresidente della Camera delle Regioni del #COE Lia Montalti. Con Oksana è stato un incontro importante per aggiornarci sulla situazione in #Ucraina, per scambiare conoscenza e progettare insieme un futuro di pace e collaborazione 🕊️ 🇮🇹🇪🇺🇺🇦

Regione Emilia-Romagna | Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna

Cooperativa Diapason compie 25 anni: iniziativa all’Università di Rimini

Con il sindaco del Comune di Rimini Jamil Sadegholvaad, l’assessora della Regione Emilia-Romagna Paola Salomoni e il vescovo 𝗡𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼̀ 𝗔𝗻𝘀𝗲𝗹𝗺𝗶 ho partecipato ai 25 anni di vita di Diapason Cooperativa all’Università di Bologna – Campus di Rimini .
È stata l’occasione per confrontarsi con loro, ma anche con tanti attori del territorio come Uni.Rimini, 𝗘𝗥.𝗚𝗢, Confcooperative Romagna, Asilo Svizzero Ceis e altri, delle sfide che abbracciano lo sviluppo della cooperazione sociale e la crescita del nostro territorio.
Sfida alla sostenibilità, agli alloggi per gli studenti tutto l’anno e a prezzi accessibili, sostegno alle borse di studio e agli assegni di ricerca: Rimini è una delle province più attrattive per gli studenti della nostra regione.
 IL MIO INTERVENTO
È un vero piacere poter essere qui a parlare dell’alto valore della cooperazione sociale, di solidarietà, e di servizi per gli universitari. Da sempre la Regione Emilia-Romagna è a fianco dell’Università per garantire il diritto allo studio e la massima accessibilità ai percorsi.Quest’anno la Regione Emilia-Romagna ha incrementato, rispetto all’anno scorso, dell’8,1% gli importi minimi della borsa di studio e sono confermate le maggiorazioni del 15% per gli studenti in condizioni di maggiore disagio economico e del 20% per le studentesse che si iscrivono alle lauree Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). È stato innalzato da 300 a 500 euro il contributo per il servizio di ristorazione a favore degli studenti in possesso dei requisiti di merito previsti per la borsa di studio, ma con Indicatori Isee o Ispe superiori alle soglie fissate. Infine, aumentano i posti letto messi a disposizione da ER.GO, l’Azienda regionale per il diritto agli studi superiori dell’Emilia-Romagna: 3.723 su tutto il territorio, 167 in più rispetto all’anno accademico 2022/2023.Realtà virtuose come la Cooperativa sociale Diapason che si affiancano al lavoro delle istituzioni, sono parte integrante di quello sviluppo e collaborazione a livello territoriale, che fa di queste iniziative un vero e proprio tesoro nel cuore delle città.

La Cooperativa sociale Diapason è nata 25 anni fa grazie a un gruppo di studenti iscritti all’Ateneo riminese e da giovani professionisti provenienti da realtà del Mondo Cattolico locale, per volontà dell’allora Vescovo, con lo scopo di dotare la sede universitaria di alcuni servizi indispensabili, dalla mensa per gli studenti “Tavola Pitagorica”, all’alloggio nel residence “Santa Chiara”, diventando un grande punto di riferimento all’interno del mondo universitario e della città di Rimini.

Una storia da custodire e valorizzare dove tante persone si sono impegnate; dedicando gran parte del proprio tempo ad un progetto che facilitasse le giovani generazioni.

La rilevanza della solidarietà si misura anche nella volontà di nutrire il prossimo, con la cultura, con la simpatia e la vicinanza, senza dimenticare un bene primario come il cibo.

Vengono preparati dalla cooperativa giornalmente circa 1000 pasti per scuole ed enti privati e religiosi presenti sul territorio, confermando il settore della ristorazione un campo in cui la Diapason ha creduto fin dall’inizio e che è cresciuto notevolmente negli anni. Oggi cambiare il Mondo significa passare attraverso un’alimentazione sana e sostenibile; nel menù giornaliero di Diapason si possono scegliere piatti ‘sostenibili’, preparati cioè con ingredienti della terra romagnola oppure biologici.

Il forte valore della cooperazione sociale sottolinea l’importanza dello stare insieme, di cooperare per il bene comune, oltre che un rimando all’evangelico «ama il tuo prossimo come te stesso». La cooperazione è uno scambio in cui i partecipanti traggono vantaggio dall’essere insieme, richiede abilità nel comprendere e capacità di rispondere emotivamente agli altri.  C’è un valore culturale forte, nella cooperazione, nell’autoaiuto, nel mutualismo, nella solidarietà informale e nella capacità di leggere l’economia come spazio concreto del vivere e del fare. Il futuro è in questa economia delle relazioni, del dialogo, dello stare e del fare insieme, non nell’ambigua finanza del competere. «Nessuno si salva da solo», ce lo ha insegnato Papa Francesco durante il momento più duro della pandemia da Covid-19 toccando con mano la nostra fragilità personale e sociale.

«Libertà significa non essere isole, significa essere capaci di stare insieme agli altri, liberandoci dall’orgoglio». Lo ha detto il presidente della Cei “don Matteo” Zuppi. Mi piace ricordarlo oggi, qui, con grande affetto. Il suo è l’esempio di una vita spesa per gli ultimi, vicino ai più fragili, a fianco di chi soffre. Zuppi ci insegna che per essere liberi dobbiamo andare oltre noi stessi ed entrare nelle relazioni: la solidarietà, l’accoglienza, non sono solo un dovere morale, ma ciò che arricchisce le nostre vite. Di amore. Di appartenenza.

Ognuno di noi ha bisogno degli altri.

I doveri verso le giovani generazioni, che rappresentano il nostro futuro, garantire eguali diritti di cittadinanza, il contrasto alle disuguaglianze, lo sviluppo sostenibile, creare le giuste opportunità di lavoro, fermare le morti sul lavoro, ampliare i diritti civili e sociali, sono alcune delle sfide che ci faranno avanzare nel modello sociale a cui ambiamo aderire.

I cambiamenti in atto mai come in questi ultimi anni sono stati veloci, hanno mutato le priorità nell’agenda politica globale e nella sensibilità delle persone, producendo a tratti una prospettiva più incerta, variabile, che poteva minare il terreno edificato fino ad ora.

Allo stesso tempo hanno evidenziato come la cooperazione possa farci uscire dalle situazioni più critiche.

La risorsa più grande sarà sempre la forza della collettività.

Se vogliamo guardare lontano, lo faremo sempre insieme.

Un bellissimo pomeriggio all’evento “Rimini in Festa Ringrazia”

Oggi con molto piacere ho partecipato a “𝐑𝐢𝐦𝐢𝐧𝐢 𝐢𝐧 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐑𝐢𝐧𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐚”, evento nato da un’idea del Vescovo di Rimini 𝐦𝐨𝐧𝐬. 𝐍𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨̀ 𝐀𝐧𝐬𝐞𝐥𝐦𝐢 e organizzata dagli operatori turistici riminesi con il preziosi ausilio dell’associazione Rimini per tutti; l’obiettivo era quello di ringraziare idealmente tutti gli operatori turistici alla fine della stagione estiva.
Insieme agli amministratori e agli esponenti delle categorie economiche della città abbiamo assistito allo spettacolo dell’antica tradizione della 𝑃𝑒𝑠𝑐𝑎 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑇𝑟𝑎𝑡𝑡𝑎; un bel momento di condivisione per guardare al futuro con fiducia e speranza.

All’Istituto Tecnico Economico ‘Valturio’ di Rimini per l’apertura dell’anno scolastico

In occasione dell’apertura dell’anno scolastico, ho avuto il piacere questa mattina di recarmi all’ Istituto Tecnico Economico Statale “R. Valturio” di 𝐑𝐢𝐦𝐢𝐧𝐢. E’ stata l’occasione per incontrare i docenti e alcuni degli studenti delle classi quinte che lo scorso anno, grazie al progetto ‘𝑽𝒊𝒂𝒈𝒈𝒊 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑴𝒆𝒎𝒐𝒓𝒊𝒂 𝒆 𝑽𝒊𝒂𝒈𝒈𝒊 𝒂𝒕𝒕𝒓𝒂𝒗𝒆𝒓𝒔𝒐 𝒍’𝑬𝒖𝒓𝒐𝒑𝒂’, sostenuto dall’Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna, si sono recati in Belgio, prima al 𝐏𝐚𝐫𝐥𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐞𝐨 e poi a 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐢𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞, teatro di una immane tragedia dove persero la vita 262 persone, di cui 136 immigrati italiani che stavano lavorando in miniera.
Le ragazze e i ragazzi, seguiti magistralmente dalle docenti 𝐓𝐞𝐫𝐞𝐬𝐚 𝐌𝐮𝐫𝐚𝐜𝐚, 𝐒𝐞𝐫𝐞𝐧𝐚 𝐌𝐚𝐳𝐳𝐞𝐥𝐥𝐢 e 𝐂𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐁𝐚𝐥𝐝𝐮𝐜𝐜𝐢, hanno approfondito le tematiche relative all’Europa, all’immigrazione e alla Memoria.
E’ stato un momento molto bello ed emozionante.
Ringrazio di cuore il dirigente scolastico 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐨 𝐁𝐮𝐠𝐥𝐢 per la splendida accoglienza che mi è stata riservata.

A Novafeltria per l’apertura dell’anno scolastico 2023-2024

𝘜𝘯 𝘣𝘢𝘮𝘣𝘪𝘯𝘰, 𝘶𝘯 𝘪𝘯𝘴𝘦𝘨𝘯𝘢𝘯𝘵𝘦, 𝘶𝘯 𝘭𝘪𝘣𝘳𝘰 𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘱𝘦𝘯𝘯𝘢 𝘱𝘰𝘴𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘤𝘢𝘮𝘣𝘪𝘢𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰. 𝘗𝘳𝘦𝘯𝘥𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘪𝘯 𝘮𝘢𝘯𝘰 𝘪 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘪 𝘭𝘪𝘣𝘳𝘪 𝘦 𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘦 𝘱𝘦𝘯𝘯𝘦. 𝘚𝘰𝘯𝘰 𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘦 𝘢𝘳𝘮𝘪 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘱𝘰𝘵𝘦𝘯𝘵𝘪.
L’anno scolastico delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi comincia oggi e per me è stato importantissimo iniziarlo a Novafeltria  assieme alle istituzioni e alla dirigente 𝗙𝗶𝗹𝗼𝗺𝗲𝗻𝗮 𝗗𝗶 𝗥𝗲𝗹𝗹𝗮, dopo l’alluvione di maggio.

IL MIO INTERVENTO

Buongiorno a tutte e tutti

Sono molto contenta di essere qui oggi insieme agli amministratori comunali a portarvi questo saluto a nome della regione Emilia-Romagna.

Oggi a livello regionale rientrano in aula oltre 500mila studenti e studentesse: si riparte regolarmente, nonostante le enormi difficoltà e grazie all’impegno comune di sindaci, cittadini, istituzioni.

Il via ovviamente riguarda anche 70mila docenti e 16mila addetti amministrativi, tecnici, ausiliari, che ringrazio vivamente per il loro lavoro quotidiano.

Quest’anno per l’inaugurazione dell’anno scolastico abbiamo scelto di essere presenti nelle zone colpite dall’alluvione del maggio scorso, per dare un segnale di vicinanza alle comunità di questi territori, soprattutto in questo giorno così importante per voi del mondo della scuola.

Dovete sapere che in alcuni casi, la maggior parte dei quali sono concentrati nelle zone di faenza, del forlivese, del cesenate e del ravennate, ci siamo trovati di fronte ad alcune scuole che sono state letteralmente attraversate da fiumi di acqua e il loro ripristino è potuto avvenire solo in parte.

Poi ci sono stati casi meno complessi, ma molto diffusi: per circa 200 edifici, infatti, sono stati segnalati danni derivanti all’allagamento di locali tecnici, che hanno compromesso caldaie, impianti elettrici e idraulici: tutti sistemi che sono stati ripristinati nei tempi necessari a garantire la continuità delle attività didattiche. Altro problema frequente è stato quello delle infiltrazioni di acqua da soffitti e pavimenti, anche in questi casi i lavori sono stati condotti durante l’estate per rendere agibili più spazi possibile.

Si è calcolato che per il ritorno alla piena normalità servono 12 milioni di euro; in provincia di Rimini siamo nell’ordine di circa 500mila euro di danni.

Là dove serve, i sindaci si sono attivati in tempi record per allestire strutture scolastiche temporanee in teatri, centri sociali o nelle strutture dei comuni vicini. In attesa dei fondi statali si attinge alle donazioni della raccolta regionale.

I Comuni sono spesso intervenuti con lavori di somma urgenza per garantire la riapertura degli istituti nei tempi, anche senza copertura di spesa, con interventi che ora vanno senz’altro saldati: in attesa dei fondi statali, la Regione ricorrerà alle donazioni raccolte.

Una parte sarà appunto usata per far sì che tutto il sistema scolastico pubblico sia ripristinato nel più breve tempo possibile e che gli enti locali possano pagare tempestivamente le imprese che hanno lavorato questa estate.

Mercoledì c’è stata la visita del commissario Figliuolo in zona e devo dire che abbiamo appreso con soddisfazione che le prime risorse sono state stanziate e dovrebbero arrivare a destinazione celermente.

Al di là dell’emergenza alluvione però vorrei approfittarne per ricordare un attimo l’impegno della Regione per la scuola

Fascia 0-3 anni: oltre 70 milioni di euro  

La Regione investirà per l’anno educativo 2023-24 oltre 70 milioni di euro complessivi per diversi impegni, tutti volti a potenziare i servizi educativi per la fascia 0-3 anni. Serviranno a qualificare e migliorare nidi d’infanzia e servizi integrativi al nido per i bambini, a ridurre le liste di attesta ampliando l’offerta educativa, a riproporre la misura “Al nido con la regione”. Quest’ultima garantirà l’abbattimento delle rette a carico delle famiglie sull’intero territorio regionale, con il completo azzeramento nei Comuni di montagna e delle aree interne.

Pluriclassi in montagna: 812 mila euro

Nell’ambito dei cosiddetti “Patti di Comunità” – nati per rafforzare l’alleanza tra scuole e territorio e per sostenere i servizi educativi che si fondano sul modello delle pluriclassi nelle aree montane – la Regione ha definito un progetto per le pluriclassi condiviso con l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna. Avviato in via sperimentale a inizio dell’anno scolastico 2022-2023 in 6 plessi scolastici e 12 pluriclassi di montagna delle province di Reggio Emilia e Forlì-Cesena, dall’anno scolastico 2023- 2024 viene esteso a tutto il territorio. Con un finanziamento di 812mila euro si dà la possibilità a tutti i 61 Comuni delle aree montane in cui sono presenti pluriclassi di realizzare progetti didattici e servizi innovativi anche grazie agli incentivi economici, che ammontano a 3.000 euro per ogni pluriclasse attivata, più 5.500 euro per ciascun plesso scolastico coinvolto

Borse di studio: 2,75 milioni di euro

La platea degli studenti delle superiori che beneficeranno delle borse di studio regionali è cresciuta del 25%: sono oltre 13mila, grazie a uno stanziamento di 2,75 milioni di euro, 500mila in più rispetto allo scorso anno scolastico. Sono destinati agli studenti del biennio delle scuole superiori e dei corsi di istruzione e formazione professionali appartenenti a nuclei familiari con Isee inferiore a 15.748 euro.

Borsa maggiorata del 25% per chi, tra loro, ha conseguito una media pari o superiore al 7 e per quelli con disabilità.

Trasporto scolastico, bus e treni gratuiti: 25 milioni di euro

Anche per l’anno scolastico 2023-24 si conferma l’iniziativa Salta su voluta dalla Giunta, che offre l’abbonamento gratuito a bus e treni regionali agli studenti residenti in Emilia-Romagna delle scuole elementari e medie. Possono beneficiarne anche gli studenti delle superiori e istituti di formazione professionale con Isee familiare annuo fino a 30mila euro. L’impegno della Regione è pari a oltre 25 milioni di euro, 6 milioni in più rispetto all’anno precedente

 

 

Alla Festa dell’Unità di Bologna a un dibattito insieme ad Alessandro Zan

Con Alessandro Zan 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 per parlare di diritti e società alla Festa dell’Unità di #Bologna assieme a Stefano Ferrari di TRC Bologna.
È un momento determinante per noi e per le nostre idee: le contraddizioni della destra, tra opposizione prima e governo oggi, all’interno e in Europa sono evidenti a tutte e tutti su tanti temi, in primis l’immigrazione.

LA TRACCIA DEL MIO INTERVENTO

Dalla parte delle persone è sempre stato il principio cardine che regola la vita politica e i percorsi scelti dal Partito Democratico. Significa scegliere di stare dalla parte di chi, nella società, ha meno tutele e diritti: le famiglie più povere, le donne, i migranti, le comunità lgbt, fanno ancora parte di quelle categorie, anche se non vorremmo di certo usare questa denominazione, per cui ancora ogni giorno dobbiamo fare ampie battaglie. La meta più importante alla quale aspiriamo è un principio pienamente egualitario, principio che oggi non solo sembra allontanarsi, ma che viene messo continuamente in discussione da un centrodestra che sembra voler affossare anche i diritti acquisiti in tutti questi anni.

Dalla parte delle persone significa non voltarsi dall’altra parte quando si incontrano criticità, minoranze, quando le tutele vengono meno, quando c’è da difendere i nostri valori e i nostri ideali; non stare dalla parte del più forte, ma avere la consapevolezza che un aiuto collettivo possa migliorare il benessere della società tutta. Ascoltare le esigenze, cercare di porre rimedio alle sofferenze. Noi stiamo cercando di farlo. La nostra estate militante è servita per portare avanti delle battaglie che, siamo convinti, possano migliorare la vita delle persone: dal salario minimo, per dare dignità a tutte le lavoratrici e i lavoratori, alla tutela di un sistema sanitario universalistico, che curi un ricco e un povero allo stesso modo, fino al contrasto verso ogni forma di discriminazione, perché questo produce solo intolleranza e un odio pericoloso.

Contrastare ogni forma d’odio è fondamentale in un mondo evoluto, lo sa bene il Partito Democratico che ha portato avanti grandi battaglie, negli ultimi anni, affinché strumenti legislativi efficaci potessero prevenire e contrastare le discriminazioni ed ogni forma di odio e maltrattamento.

Il tema dei diritti è nel DNA del Partito Democratico. Attraverso la buona politica e la partecipazione dal basso, di cittadini e cittadine che sentono nei nostri valori l’unico modo per concepire il futuro, possiamo creare una rotta che ci appartiene. Il Partito Democratico è una forza responsabile, democratica, progressista ed europeista, a cui sta a cuore il destino della collettività. Insieme siamo una forza, per i diritti, per una società migliore.

Sono passati due anni dal naufragio del ddl Zan in Senato e, con il governo più a destra della storia recente italiana, la situazione sul versante dei diritti LGBTQIA+ sta precipitando. I diritti della comunità Lgbt sono più a rischio che mai e la mancanza di leggi adeguate non fa altro che aggravare la situazione.

Un disegno di legge sull’omolesbobitransfobia che non venne accolto, se vi ricordate, fra incresciosi applausi. Applausi che fecero il giro del mondo, mostrando il grave grado di arretratezza di una destra intransigente e anacronistica. Lontana pensino dalle destre europee che, con un orientamento liberale, guardano anche ai diritti arcobaleno.

Il Rainbow Index, l’indice che misura la tutela dei diritti in Europa compilato ogni anno dall’Ilga, la più grande rete europea delle associazioni LGBTQ+, ci dice che, dei 49 Paesi presi in considerazione dal ranking, il nostro Paese si posiziona solo al 34esimo posto sul tema dei diritti, perdendo addirittura una posizione rispetto allo scorso anno.

L’Italia tutela, infatti, solo il 25% (una percentuale addirittura inferiore a quella dell’Ungheria di Orban) dei diritti arcobaleno, e l’incitamento all’odio è rimasto diffuso quest’anno anche da parte dei politici.

Affermazioni come l’omosessualità è un “abominio” e che le coppie di genitori omosessuali non sono normali, dei deputati di Fratelli d’Italia Federico Mollicone e Lucio Malan, riportate nel report di Ilga, non fanno altro che confermare la volontà di retrocede a una dimensione medioevale della società.

Con il Ddl Zan avremmo voluto fare un passo avanti, con una legge che puniva ogni forma di discriminazione e di violenza basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Mentre il tema è stato derubricato sostenendo che esistevano già delle leggi in merito, e che un’ulteriore legge sarebbe stata superflua ritenendo, in maniera sconsiderata, che avrebbe tolto la “libertà di pensiero”.

A farsi sentire in questo contesto è, invece, la totale assenza di qualsiasi legge sui crimini e i discorsi d’odio, di cui persino l’Ungheria si è dotata nel 2013.

Una battaglia che non abbiamo intenzione di abbandonare, siamo la forza politica che può creare un argine all’avanzata di una destra sovranista ed arretrata, che sui diritti sociali e civili è tra le più arretrate d’Europa.

Una destra che non sarebbe mai in grado di creare una società inclusiva, aperta e solidale. Valori che invece rappresentano saldamente l’identità del Centrosinistra, un Centrosinistra che crede sopra ogni altra cosa alla dignità e ai diritti di ciascun individuo. Il rischio con questo Governo è di mettere in discussione i diritti già assodati. L’Italia merita di essere un Paese equo, solidale, tollerante, che porti con grande facilità e trasparenza una legge contro i crimini d’odio, invece di continui ostruzionismi.

Riconoscere per legge il diritto delle coppie omogenitoriali

Abbiamo invece assistito ad un altro fatto senza precedenti: il Governo ha bocciato il certificato di filiazione europeo destinato ad assicurare il riconoscimento dei diritti dei figli anche delle coppie gay e l’adozione nei Paesi dell’Unione, bloccando la registrazione dell’atto di nascita per i minori nati da coppie dello stesso sesso. Restringendo di fatto l’ambito dei diritti.

Il 30 marzo 2023, il Parlamento Europeo, nell’adottare la relazione sullo stato di diritto nell’Unione europea (2022/2898 RSP), ha condannato le istruzioni impartite dal governo italiano di non registrare gli atti di nascita di figli di coppie omogenitoriali, affermando che «questa decisione porterà inevitabilmente alla discriminazione non solo dalle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli» e che tale azione costituisca «una violazione diretta dei diritti dei minori, quali elencati nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989».

La legge italiana non prevede e quindi non riconosce i figli delle famiglie omogenitoriali. Il loro destino è stato fino ad oggi legato alle mani dei sindaci che sono riusciti a sanare un vuoto legislativo aggrappandosi agli orientamenti dei tribunali, e di fatto riconoscendoli.

Si tratta però di procedimenti onerosi, tempi lunghi e costi economici ed emotivi. Il genitore non biologico, e quindi non riconosciuto, deve sottoporsi ad umilianti e discriminatori controlli di idoneità fatti dagli assistenti sociali, che non tutelano il minore.

Mercoledì 24 maggio la maggioranza di governo ha bocciato due emendamenti che avrebbero introdotto nell’ordinamento italiano la trascrizione degli atti di nascita dei figli delle coppie omosessuali concepiti all’estero.

Le proposte avanzate rispettivamente da Pd e +Europa, che hanno portato in Parlamento le istanze avanzate da alcuni sindaci, riguardano il progetto di legge di Fratelli d’Italia sulla maternità surrogata. Confermando la loro volontà persecutoria contro le famiglie arcobaleno, i cui bimbi continuano ad essere discriminati.

Si tratta di una battaglia di civiltà; sono bambini e bambine che vanno nelle nostre scuole e crescono nelle nostre comunità, come tutti gli altri, non c’è alcuna ragione per negare il loro riconoscimento. Le discriminazioni non hanno mai portato ad un avanzamento della società; una società che non discrimina e non marginalizza è più sicura e non lascia indietro nessuno.

Sono personalmente a favore della gestazione per altri solidale, etica e altruistica, senza costrizioni e alcuno sfruttamento economico. Ricordo, inoltre, che si rivolgono alla Gpa per più del 90% coppie etero , mentre la maggioranza di governo usa questo argomento con il solo obiettivo di criminalizzare le famiglie arcobaleno e le coppie omosessuali, ed è una situazione insostenibile. Oltretutto si tratta di percorsi onerosi e complessi, a testimonianza della grande volontà di chi li intraprende.

A luglio abbiamo assistito invece al primo via libera alla proposta di legge che rende la maternità surrogata un reato universale (pena prevista dai 3 mesi ai 2 anni di reclusione e multa da 600.000 a 1.000.000 di euro) . L’Aula della Camera ha approvato la pdl firmata dalla deputata di Fratelli d’Italia Carolina Varchi con 166 voti a favore, 109 contrari e quattro astenuti. Pd, M5s, Alleanza Verdi e sinistra e +Europa hanno votato compatti contro la proposta di legge. La pdl Varchi, che considera solo sul territorio italiano la Gpa reato di pari grado al genocidio o ai crimini di guerra, passa ora all’esame del Senato.

Non possiamo rimanere inermi a guardare questo scempio dei diritti.

Dobbiamo renderci conto che non stiamo parlando di proiezioni future, ma di bambini e bambine che sono già parte della nostra comunità.

Vanno riconosciuti senza se e senza ma i diritti che spettano loro. Non è ammissibile che un genitore debba girare con la delega del partner perché in Italia il suo ruolo non è riconosciuto. Che immagine stiamo dando a questi bambini?

Non è accettabile che la maternità surrogata venga considerata un reato. I reati sono ben altri e non riguardano la decisione di persone che si amano di mettere al mondo dei figli. Quando si tratta di diritti la chiarezza deve essere netta e definita.

 

Donne e lavoro

Il lavoro è il principale strumento di inclusione sociale e una delle vie per assicurare ad ogni persona un’esistenza libera e dignitosa.

Le disuguaglianze di genere sono uno dei temi principali da affrontare nel panorama politico e sociale a livello internazionale. Ancora oggi permangono disparità importanti che si riflettono nell’accesso al mercato del lavoro, dove sono numerosi gli ostacoli che le donne devono riuscire a superare, compreso un retaggio culturale che vede molto spesso le donne confinate ai soli ruoli di cura.

La condizione femminile misura la qualità democratica di un Paese e, quando favorevole, lo arricchisce, perché investire sul lavoro delle donne significa investire nell’economia e nella crescita di un territorio. Sono ormai diversi gli studi che lo hanno messo in evidenza:

secondo le stime di Banca Italia l’aumento dell’occupazione femminile al 60 per cento, in Italia, si assocerebbe “meccanicamente” ad un Pil nazionale più elevato del 7 per cento.

È uno degli obiettivi a cui puntava il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che per il triennio 2024-2026 avrebbe aspirato a superare la soglia del 60 per cento di occupazione femminile, attraverso una serie di stanziamenti diretti e indiretti del valore di 38,5 miliardi di euro, di cui 3,1 in misure mirate alle donne e altri 35,4 destinati a misure indirettamente riconducibili al riequilibrio di genere.

Per questo non possiamo permettere che uno strumento importante come il PNRR possa slittare o essere ridimensionato con la conseguente perdita di progetti centrali per la crescita economica e sociale del nostro Paese, compreso il mercato del lavoro e gli squilibri di genere.

Dobbiamo cogliere tutte le opportunità, a partire dal Pnrr, perché investire sul lavoro delle donne significa investire nell’economia e nella crescita di un Paese.

Attualmente in Italia solo il 49,5% delle donne ha un posto di lavoro di cui solo il 31% a tempo pieno, perché di fatto c’è un altissimo ricorso al part-time nella gran parte dei casi involontario. Come sappiamo le donne sono state, inoltre, maggiormente colpite dall’emergenza pandemica: con la chiusura delle scuole e la maggiore difficoltà di accesso ai servizi di assistenza per gli anziani riuscire a conciliare la vita professionale con gli impegni famigliari è diventato sicuramente più complicato. In molte hanno dovuto sacrificare la propria dimensione relazionale riducendo di conseguenza il tempo a loro disposizione.

Inoltre, i salari diminuiscono per le madri nei 24 mesi successivi alla nascita dei figli e si allontanano le prospettive di carriera ed economiche. Ad esempio, in E-R le dimissioni volontarie nel 2020 sono state in prevalenza di madri lavoratrici con figli minori di 3 anni, le più penalizzate dalla pandemia.

Le donne sono in prevalenza impiegate nei settori di lavoro prevalentemente povero, e questo ha delle forti ripercussioni in termini sia reddituali che previdenziali tanto che le donne over 65 hanno un reddito annuo inferiore dell’11% rispetto agli uomini della stessa età.

Se parliamo nello specifico di un mondo come la libera professione, dove la costruzione dei rapporti con la clientela, i colleghi, i fornitori, e di tutto quanto ci sta intorno, è prioritario per lo sviluppo del percorso di carriera, capiamo quanto aspetti come l’emergenza pandemica o anche solo la quotidiana vita familiare possano influire sulla professione se accanto non mettiamo politiche di welfare che aiutino la continuità professionale ed economica delle donne.

È necessario, quindi, fare crescere tutti quei servizi di welfare e reti di collaborazione tra professioniste che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita, con i tempi di lavoro, ed evitino di esporle al rischio di uscita dal sistema.

Bisogna favorire la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro attraverso ulteriori investimenti nel welfare e sgravi fiscali a favore delle aziende, ed attraverso un cambio culturale, troppo spesso rigido, che vede le donne confinate in ruoli di cura e non proiettate verso la realizzazione personale.

In Italia c’è ancora molto lavoro da fare, sia rispetto agli strumenti legislativi che ci siamo dati a livello nazionale e regionale, sia in riferimento ai dispositivi con cui si è inteso dare attuazione a quelle norme, la cui efficacia si scontra con la frammentazione delle realtà territoriali e di governance, le resistenze del sistema generale e una cultura diffusa spesso poco rispettosa della parità di genere.

È una dimensione complessa, ma determinante per il futuro del nostro Paese. Per sostenere e favorire questo cambiamento è fondamentale trovare un terreno comune su cui lavorare e concentrare idee, forze e risorse su obiettivi condivisi. Sta a noi rivendicare un lavoro di qualità e al contempo rimuovere le cause che non consentono alle donne di accedere ai posti apicali in tutti i settori.

In questa direzione è andata anche la  direttiva approvata dal Parlamento europeo a novembre che mira ad incrementare la presenza femminile nelle posizioni apicali nelle aziende con più di 250 dipendenti. Entro fine giugno 2026 il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecuti ed il 33% di tutti i posti di amministratore dovranno essere occupati da donne. Una decisione storica che deve fare salire una media attuale europea del 30,6%.

Il tetto di cristallo che impedisce alle donne di salire ai vertici è stato finalmente infranto come ha detto la presidente dell’esecutivo Ue Ursula von der Leyen. Tutto questo per garantire dignità, libertà e diritti nel presente e creare le premesse per migliorare il futuro.

Dobbiamo realizzare davvero l’uguaglianza di genere, la parità salariale effettiva, il riconoscimento dei diritti e delle tutele per tutte le lavoratrici. I numeri parlano, e ci dicono che non solo a parità di titolo di studio, le donne sono svantaggiate, ma che lo sono anche quando hanno titoli superiori: o non riescono a entrare nel mercato del lavoro o, quando vi entrano, sono pagate meno e trattate peggio.

Questo è ciò che si vuole evitare. Il valore e le competenze femminili vanno riconosciute e la società deve essere in linea con i desideri e le aspettative delle donne, lo dobbiamo alle future generazioni. Solo un dato: il numero delle laureate supera quello dei laureati; in Emilia-Romagna il 56,5% degli iscritti a un corso di laurea è donna, il 57,4% dei residenti laureati è donna, e la quota di laureate a 25 anni è del 45,6%, mentre i laureati a 25 anni sono solo il 30,6%.

Tutto questo mentre il gap salariale a favore degli uomini continua ad esistere, ed i ruoli apicali sono per la maggior parte appannaggio maschile.

Finché rimaniamo nel range scolastico lo sbilanciamento è a favore delle donne, con risultati migliori, mentre una volta entrate nel mercato del lavoro la situazione viene completamente invertita. Dove sta l’intoppo? È per questo che dobbiamo continuare a batterci per politiche che abbiano a cuore la questione femminile; la legge sulla parità salariale ha prodotto sicuramente risultati in questo senso, ma dobbiamo proseguire.

Il nostro è un Paese dove la regressione della sfera dei diritti sociali ha portato a un crollo della natalità e a un impoverimento diffuso delle fasce più deboli. Il lavoro povero è aumentato e ha colpito soprattutto le famiglie numerose e le donne.

L’emancipazione della donna passa anche da questo, dalla riduzione del carico di lavoro: se concepiamo la figura femminile come l’unica deputata alla gestione della famiglia intesa come, cura dei figli, pulizia della casa, e quant’altro, non saremo mai in grado di concorrere allo step successivo che è quello di una politica realmente paritaria, con un rischio che è un’evidenza: dover scegliere tra carriera e famiglia.

 

Come Coordinatrice delle Pari opportunità e di genere della Conferenza delle assemblee legislative mi sento in dovere di ricordare come il sessismo ordinario possa inserirsi come ultima frontiera della discriminazione delle donne.

La delegittimazione di tutto ciò che è femminile porta ancora a definire il ruolo della donna nella società come subordinato a quello maschile. Si insinua nel quotidiano in tanti preconcetti che siamo talmente abituati a sentire da non accorgercene nemmeno: dalle parole, al mondo del lavoro, ai comportamenti, con immeritati atteggiamenti paternalistici che le donne sono costrette a tollerare per non uscire da quel circuito in cui, a fatica, si sono inserite.  Lacerazioni che pesano su un’incompiuta realizzazione personale e che minano l’autostima delle donne, senza contare la mancata possibilità di fare carriera e di accesso ai vertici, aspetti che non sono degni di una società evoluta.

Per riuscire a superare questo problema quotidiano serve un impegno concreto, perché colpisce ogni perimetro sociale generando la mortificazione delle donne e l’impossibilità di avere pari opportunità. Dal diverso accesso alle professioni, al gender gap salariale, alla continua narrazione di considerare la donna, a torto, più debole ed incapace a rivestire certi ruoli.

L’impegno deve essere promosso a livello educativo così come a livello mediatico, per evitare di comunicare, anche involontariamente, stereotipi sessisti.

 

Patto ‘No women no panel’

È per me un grande privilegio essere presente all’interno di un contesto, come l’Assemblea legislativa e la Regione Emilia-Romagna, che valorizza la presenza delle donne nella vita pubblica, culturale e comunicativa.

Il 27 aprile di quest’anno è stato sottoscritto il Protocollo d’intesa tra Rai, Regione, Città metropolitana, Comune e Università di Bologna con l’obiettivo di promuovere la presenza delle donne nel dibattito pubblico, valorizzando competenze, esperienze e talenti femminili; perché una democrazia non può essere definita tale se non viene attuato appieno il principio di uguali opportunità.

Il patto ‘No women no panel’, senza le donne non se parla, lanciato il 22 novembre scorso dalla Rai in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e che deriva da un progetto nato nel 2018 in seno alla Commissione europea, e dal successivo Memorandum d’intesa del 2021 che la RAI Radiotelevisione italiana S.p.A. promuove tra le istituzioni, ha come principale missione quella di garantire l’equilibrio di genere nel dibattito pubblico, convegni, seminari e talk e la messa a bando del “manel”.

Già dal 2016 il Financial Times metteva in evidenza i troppo convegni dove i relatori erano solo uomini, i così detti “manel”, panel solo maschili, che sono una chiara dimostrazione pubblica di disuguaglianza e segregazione di genere.

Diversi indicatori rilevano che, sul tema dei diritti delle donne, in Italia la strada da percorrere è ancora molto lunga:

–         in Europa risultiamo fanalino di coda, classificandoci al 14esimo posto per la parità di genere nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere elaborato da EIGE (European Institute for Gender Equality) del 2020;

–         un italiano su tre pensa ancora che il lavoro e le competenze siano una prerogativa maschile;

–         mentre nel report 2023 del Global Gender Gap, un indice che misura il divario di genere nella partecipazione economica e politica, nella salute e nel livello di istruzione, l’Italia scivola in un solo anno dal 63° al 79° posto e nella classifica europea siamo al 30° posto su 36°.

Dati preoccupanti che delineano una società che resta ancorata ad una idea patriarcale, dove la donna continua ad assume nell’immaginario collettivo un ruolo marginare e relegato alla cura domestica.

Mettere in secondo piano il talento femminile non è un problema solo legato alla valorizzazione della donna, ma penalizza la nostra società tutta.

Sul piano economico un’inversione di rotta produrrebbe benefici.

Un rapporto dell’OCSE stima che il PIL mondiale potrebbe aumentare di due punti percentuali se il gap di partecipazione delle donne all’economia si dimezzasse e gli stessi indicatori del BES – Benessere Equo e Sostenibile – rilevano l’incidenza delle disparità di reddito e partecipazione tra donne e uomini quale causa di stasi se non crisi economica.

Si tratta di un processo di riconoscimento necessario per un progetto di società pienamente rappresentativo ed egualitario; senza il contributo femminile una parte della collettività resterà sempre inespressa.

Mentre promuovere questo cambiamento culturale significa scoprire che di donne adatte e competenti ce ne sono già tantissime, sta solo a noi scegliere di riconoscerne i meriti e non perpetuare continui atti di ingiustizia, chiedendo sempre alle donne un passo indietro.

Perché spesso a una donna viene richiesto il doppio, delle competenze e del coraggio, per sfidare una società al maschile dove permangono ancora numerosi stereotipi e pregiudizi. E questo non va bene. Vorrei che ogni bambina crescesse con l’idea di potersi realizzare al pari dei propri compagni di scuola, seguendo le proprie inclinazioni e i propri desideri, e non con la paura di essere mortificata o di dover ridimensionare le proprie aspirazioni: si tratta di standard legati ad una società arcaica, patriarcale e fuori tempo massimo

Un’equa rappresentanza di genere in ogni dibattito e talk è un argomento di forte rilevanza.

La presidente Rai, Marinella Soldi, aveva mostrato che negli ultimi rilevamenti Rai del 2020, la presenza femminile nella programmazione era al 37%. Un dato molto basso per un servizio pubblico che deve essere di tutti.

 

Donne di sinistra

Le donne di sinistra sono sempre state coloro che hanno cercato di costruire un futuro migliore: il progresso è arrivato grazie a questa parte politica.

Mentre l’MSI, il Partito dove Giorgia Meloni si riconosce, tanto da lasciarne lo scandaloso simbolo, ha sempre cercato di fare ostruzionismo sulle leggi legate ai diritti delle donne; la sinistra, invece, ha sempre ritenuto necessario portare avanti con forza e determinazione leggi che avrebbero cambiato il futuro dell’Italia e quell’idea di conservatorismo che nega alla donna il diritto di poter scegliere liberamente sulla propria vita.

Un’autodeterminazione negata per troppi anni che invece le donne dai tempi del PCI hanno saputo imporre. Lo hanno fatto nell’unico modo che si potesse fare per cambiare il corso della storia: riformando leggi obsolete.

Quelle leggi che se presenti oggi sarebbero ritenute segnali di grave inciviltà e che, nonostante questo, la destra sovranista cerca ancora di riproporre.

A settembre ricorre l’anniversario dell’abolizione del matrimonio riparatore, il 5 settembre infatti l’abominio che costringeva di fatto le donne a sposare chi le aveva stuprate, colpevolizzando di fatto la vittima, è stato cancellato. Troppo tardi perché l’eliminazione arrivò nel 1981.

Mete come queste le dobbiamo come sempre al coraggio e al sacrificio delle donne. A Franca Viola, ex fidanzata del mafioso Melodia, che aveva deciso di non sposarlo dopo la scoperta della sua attività criminale. Dopo il suo rifiuto venne rapita, picchiata e violentata per una settimana. È dal suo rifiuto che partì la battaglia per l’abolizione del matrimonio riparatore.

L’MSI voto contro l’eliminazione di questa vergogna, così come votò contro la legge 194/78 per l’interruzione volontaria della gravidanza.

(Tra il 17 e 18 maggio del 1981 milioni di persone si recarono a votare ribadendo il loro appoggio alla legge 194. Prima di quella norma, arrivata nel 1978, per il codice penale una donna che praticava l’interruzione volontaria di gravidanza rischiava fino a quattro anni di carcere, e chi causava l’aborto a una donna consenziente addirittura cinque. Alle urne si presentò più del 79% degli aventi diritto).

Uno dei più seri pericoli a cui stiamo assistendo con un governo di centrodestra è proprio il rischio di dover spostare all’indietro le lancette dell’orologio.

 

A Cesena alla riuscitissima Grande Marcia Alzheimer 2023

Con Fondazione Maratona Alzheimer alla grande marcia di questa mattina da Cesena a Cesenatico. Tante amiche e amici, tante persone e sportivi per sensibilizzare sempre di più su uno dei mali del nostro tempo. Insieme.

LA TRACCIA DEL MIO INTERVENTO DI SALUTO

Ci stiamo avvicinando al 21 settembre, giorno in cui si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1994 per informare e sensibilizzare su questa forma di demenza, che colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni (in Italia si stimano 600mila ammalati su oltre un milione di persone affette da demenza).

Oltre alla malattia di Alzheimer, che è la più frequente, esistono infatti un centinaio di diverse malattie cerebrali di natura degenerativa, vascolare o traumatica che possono causare la demenza.

Anche quest’anno saranno numerose le iniziative sul territorio regionale per sensibilizzare la comunità e per sostenere malati e familiari, da Piacenza a Rimini: convegni, forum, mostre, camminate ricreative, passeggiate nei parchi, corsi per operatori e volontari, attività ludiche e motorie; e poi maratone sportive come quella di oggi, per la quale faccio i complimenti agli organizzatori per la passione ea professionalità con la quale si dedicano a questo evento e non solo.

Tutti questi eventi sono accomunati da un unico interesse: combattere lo stigma ancora elevato che contribuisce all’isolamento di malati e famiglie.

 

L’impegno della Regione

Attualmente la Regione è impegnata nella realizzazione degli obiettivi del Fondo Alzheimer previsto dal ministero della Salute, che per l’Emilia-Romagna ha individuato un primo stralcio di finanziamento nel triennio 2021-2023 pari a 927mila euro per sostenere la rete di diagnosi, cura ed assistenza dedicata alle demenze.

Le Aziende sanitarie dell’Emilia-Romagna lavoreranno, anche con l’utilizzo di questo fondo, sull’implementazione della diagnosi precoce del disturbo neurocognitivo minore, sullo sviluppo della continuità assistenziale attraverso la telemedicina specialmente nelle aree più disagiate del territorio regionale, sulla realizzazione di interventi psicosociali come la stimolazione cognitiva o interventi di supporto al caregiver.

 

Il ruolo della prevenzione

il rapporto dell’Alzheimer’s Disease International, recentemente pubblicato, conferma infatti che esistono 12 fattori di rischio per l’insorgenza di questa patologia, e precisamente l’inattività fisica, il fumo, l’abuso di alcol, l’inquinamento ambientale, i traumi cerebrali, l’isolamento sociale, il basso livello di istruzione, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione e la perdita dell’udito. Questi fattori, se adeguatamente controllati, possono ridurre di circa il 40 % i casi di demenza e vanno contrastati attraverso una forte azione sugli stili di vita e il monitoraggio sulle patologie croniche: ambiti, questi, su cui la Regione intende rafforzare ulteriormente il proprio impegno.

La Regione ha infatti approvato un progetto per la cura dei casi, ad esordio atipico e più aggressivo, che si verificano prima dei 65 anni: la cosiddetta demenza giovanile, che il miglioramento della capacità diagnostica e tecnologica del sistema sanitario permette di far emergere sempre più tempestivamente. Inoltre si sta lavorando per fornire ai professionisti sanitari e sociosanitari e ai caregiver indicazioni precise per gestire queste persone a livello ambulatoriale, domiciliare e in contesti semiresidenziali e residenziali.

 

LA RETE DEI SERVIZI

La Regione Emilia-Romagna ha approvato nel 1999 il Progetto regionale sulle demenze senili, aggiornato poi nel 2016, che ha dato vita ad una rete di Centri per disturbi cognitivi e demenze (CDCD) specializzati nella diagnosi e cura di queste patologie, collegati ai servizi sociosanitari anche domiciliari.

I centri, che insieme agli altri servizi della rete sociosanitaria operano in collaborazione con le associazioni di volontariato impegnate nel settore, rappresentano un riferimento per le persone malate e i familiari: sono attualmente 63 i CDCD regionali, composti da geriatri, neurologi, psicologi ed infermieri, mentre sono 13 i nuclei residenziali nelle CRA per l’assistenza temporanea alle persone con demenza e 9 i Centri diurni Alzheimer presenti sul territorio regionale.

I centri garantiscono visite ed approfondimenti necessari per una diagnosi tempestiva, particolarmente importante per intervenire nelle prime fasi della malattia e cercare di ritardarne, con opportune terapie, l’evoluzione; offrono servizi assistenziali, compresi approfondimenti diagnostici richiesti dal medico di famiglia per l’erogazione gratuita di farmaci, e consulenze neuropsicologichemonitorano l’erogazione dei farmaci, definiscono percorsi per la riabilitazione cognitiva.

Coordinano le attività assistenziali della rete dei servizi coinvolti. Assicurano, in collaborazione con il Servizio assistenza anziani, il supporto ai familiari impegnati nell’assistenza con incontri informativi dove approfondire aspetti sanitari, psicologici, di comportamento e di sicurezza legati allo sviluppo della malattia (ad esempio, consulenze per l’adeguamento dell’abitazione alle necessità del malato, consulenze sugli aspetti giuridici e previdenziali conseguenti alla malattia).

Per una prima visita presso un Centro per i disturbi cognitivi e demenze, è necessario rivolgersi al proprio medico di famiglia, mentre per accedere ai servizi è sufficiente rivolgersi al Servizio assistenza anziani (Saa) del proprio territorio oppure all’assistente sociale del Comune di residenza.

Importanti sono gli interventi di cura non farmacologici, o interventi psicosociali: per esempio la stimolazione cognitiva, di cui lo scorso anno hanno usufruito quasi 3.000 persone con disturbi cognitivi, mentre 170 gruppi di sostegno ed auto-aiuto con il coinvolgimento di circa 2.000 partecipanti e gli interventi psicologici di sostegno al caregiver (oltre 5.000 in totale) hanno garantito opportunità per contrastare l’isolamento delle famiglie e la possibilità di sostenere il lavoro di cura delle stesse.

I Caffè Alzheimer e i Centri di incontro

Tra le attività della rete dei servizi ci sono i Caffè Alzheimer: luoghi informali (bar, circoli) che offrono periodicamente stimolazione cognitivaattività di socializzazione per i malati e opportunità per chi li assiste di confrontarsi con persone che vivono la stessa esperienza. Sono oltre 50 in tutta l’Emilia-Romagna, frequentati da 3.000 persone: il contesto informale riduce lo stigma e l’esclusione sociale.

Durante gli incontri le persone con demenza, i loro familiari, i volontari e gli operatori svolgono delle attività mirate, si incontrano e socializzano e possono organizzare anche altre iniziative. Tutte azioni sviluppate maggiormente nei Centri d’incontro, fondamentali nelle prime fasi della malattia (già attivati 7 progetti in regione), quando i servizi tradizionali sono troppo impegnativi per i malati ma al tempo stesso è necessario offrire un sostegno. Per favorire una maggiore integrazione tra servizi e professionisti, i CDCD possono avere sede anche all’interno delle Case della Comunità, punto di riferimento per l’accesso alle cure territoriali.
Alcune attività come i Caffè Alzheimer sono state sospese alla luce dell’emergenza Covid-19, o condotte da remoto, ma durante il 2021 si è lavorato per consentirne la riapertura in sicurezza e con le nuove modalità previste dalle disposizioni regionali. Le associazioni dei familiari, in rete con le istituzioni, hanno svolto una serie di attività di sostegno da remoto e a domicilio.
In regione sono presenti una ventina di associazioni di familiari con cui entrare in contatto: essere parte attiva di una associazione di familiari aiuta molto ad affrontare le conseguenze della malattia.
La Regione si è impegnata a sostenerle non solo utilizzando i finanziamenti del Fondo regionale per la non autosufficienza, ma anche e soprattutto con la legge regionale sul caregiver (L.R. 2/2014) che prevede il riconoscimento e la valorizzazione del familiare nella rete di assistenza.

Le comunità amiche

Il progetto “Comunità Amica delle persone con demenza”, già avviato su scala internazionale, ha l’obiettivo di includere i pazienti nelle comunità in cui vivono e rimanere nella propria casa il più a lungo possibile, offrendo ai familiari maggiori risorse e opportunità per sostenere il proprio lavoro di cura. Sul territorio regionale sono state avviate alcune sperimentazioni a Formigine, Maranello, Mirandola, San Prospero, Nonantola e Modena che hanno aderito al progetto proposto da Alzheimer’s Disease International e Federazione Alzheimer Italia.

Altri comuni si aggiungeranno prossimamente.

 

All’Università di Rimini all’inaugurazione del progetto ‘Ragazze Digitali ER’

Questa mattina al Blue Lab di Rimini dell’Università di Bologna – Campus di Rimini per inaugurare 𝗥𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶 𝗘𝗥, il progetto della Regione Emilia-Romagna curato da Paola Salomoni e dell’Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna di Agenda Digitale dell’Emilia-Romagna con 18 campi estivi digitali gratuiti finanziati con 𝟭𝟱𝟬𝗺𝗶𝗹𝗮 𝗲𝘂𝗿𝗼 per avvicinare le ragazze di terza e quarta superiore alle nuove professioni digitali e all’area STEM e 𝗿𝗶𝗱𝘂𝗿𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗱𝗶𝘃𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗲.

 

IL MIO INTERVENTO DI SALUTO

È un grande piacere per me essere qui all’inaugurazione di Ragazze Digitali ER a Rimini, un progetto voluto fortemente dalla Regione Emilia-Romagna che si inserisce nell’ambito delle attività di Data Valley Bene Comune (Agenda Digitale dell’Emilia-Romagna) per il quinquennio 2020-2025.

Sono 18 i campi estivi gratuiti previsti e finanziati con 150 mila euro dalla Regione grazie al Fondo Sociale Europeo Plus, per avvicinare le ragazze, del terzo e del quarto anno delle scuole secondarie di secondo grado, al digitale e all’informatica, presentando delle prospettive di carriera nelle discipline scientifiche, la cosiddetta area STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), contribuendo così a ridurre il divario digitale di genere.

L’ufficio di Statistica della Regione Emilia-Romagna fornisce un dato importante: se la percentuale di donne laureate (57,3%) supera quella degli uomini laureati, quando si entra nell’ambito delle discipline tecnico scientifiche la presenza delle donne cala drasticamente al 38,5% (totale degli iscritti).

 Ragazze Digitali fa parte di tutte quelle iniziative legislative e politiche messe in campo dalla Regione con il fine di promuovere la parità di genere e colmare quel gap tra lavoratrici donne e lavoratori uomini, per tipologia di attività, che si riflette sia in termini economici che di opportunità lavorative.

Il rafforzamento della presenza femminile in tutti quei settori che presentano una maggiore potenzialità di crescita va sicuramente in questa direzione.

Bioingegneria, programmazione, intelligenza artificiale e utilizzo dei Big Data sono settori che rappresentano il nostro futuro e che purtroppo vedono una presenza delle donne ancora troppo limitata, professioni tecniche la cui domanda di lavoro nei prossimi anni è destinata a crescere sensibilmente.

Far conoscere questi ambiti e orientare le ragazze verso le università di tipo tecnico e scientifico rende senza dubbio più attrattivi questi settori, sfatando il mito che le vede più inclini alle sole discipline umanistiche.

Innalzare il bagaglio di competenze trasversali necessarie a gestire l’innovazione tecnologia, può dare un grande valore aggiunto alla presenza delle donne sul mercato del lavoro. Il salto di qualità lo si avrà solo intercettando i nuovi spazi che richiedono sempre più specializzazioni nel mondo tecnologico.

Più in generale, resta fondamentale utilizzare ogni strumento e percorso necessario a rilanciare il valore professionale ed economico delle donne, sostenendo l’universo femminile nelle proprie risorse, capacità e potenzialità.

La sensibilizzazione su temi quali la digitalizzazione, l’empowerment, l’accesso al credito, il welfare, la condivisione dei carichi di cura, e il coinvolgimento di tutte le energie in un condiviso percorso di formazione sono azioni positive, da potenziare e ampliare, per colmare quel gender gap che ancora oggi permane nella nostra società.

 Proprio per questo l’edizione 2023 è stata ampliata: rispetto alle 6 sedi del 2022 quest’anno sono ben 16 i Comuni coinvolti nella nostra Regione, per un totale di oltre 400 posti disponibili.

Si sono già conclusi i primi campi a Mirandola, Imola e Piacenza, e stanno proseguendo o iniziando quelli a Parma (28 agosto – 15 settembre), Bologna e Imola (29 agosto – 8 settembre), San Lazzaro di Savena (dal 4 all’8 settembre), Ferrara e Cento (dal 4 al 12 settembre), a Cesena, Forlì, Modena, Ravenna, Reggio Emilia e Rimini (dal 4 al 14 settembre) e a Lugo dal 4 al 15 settembre.

Molteplici i temi affrontati, dall’ingegneria informatica alle scienze biomediche, dalla bioingegneria all’analisi degli impatti climatici tramite i Big Data, fino all’Intelligenza Artificiale: lo scopo è quello di affiancare alla teoria la progettazione e la sperimentazione.

 

 

Alla bellissima Festa dell’Ospitalità di Bertinoro

Oggi a Bertinoro con la sindaca Gessica Allegni alla 𝗙𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗢𝘀𝗽𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶𝘁𝗮̀ dedicata quest’anno al tema della Terra
La Romagna, una terra profondamente colpita dalle terribili alluvioni del maggio scorso, ha fatto emergere ancora una volta il grande cuore delle tante volontarie e volontari che per giorni e notti interi hanno dedicato le loro energie per le nostre comunità colpite.
L’emergenza ci ha unito e anche oggi abbiamo detto grazie a tutti loro!
IL MIO INTERVENTO

Innanzitutto voglio ringraziare la sindaca Gessica Allegni per l’invito a questa bellissima Festa dell’Ospitalità, che organizzate ogni anno e che in questo anno molto particolare avete deciso di intitolare alla TERRA, e quindi all’ambiente, ai cambiamenti climatici e a tutto ciò che riguarda questi temi.

Lo facciamo in una terra colpita duramente, perché qui siamo nel cuore della Romagna, dove è accaduto uno degli eventi catastrofici tra i più disastrosi di sempre del nostro paese.

Anche il vostro comune, Bertinoro, ha avuto danni pesanti tra frane, smottamenti, allagamenti e altro.

Consentitemi da questo punto di vista, di fare un plauso a Gessica per la difficile e complicata gestione della situazione di quei giorni davvero molto complessi. Cito lei per comprendere idealmente tutti gli amministratori locali che hanno affrontato questa emergenza in modo davvero encomiabile, e stanno ancora lavorando perché ci vorrà tanto tempo per tornare come prima. E insieme a loro come non citare la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, ma anche i tanti volontari delle associazioni che a vario titolo hanno dato una mano.

La regione Emilia-Romagna ha lavorato fin da subito col generale Figliuolo, che già conoscevamo per via dell’emergenza covid e al quale abbiamo immediatamente dato la disponibilità a collaborare fattivamente per il bene della Romagna, come è giusto fare in un corretto rapporto tra istituzioni.

Il problema è che ad oggi siamo stati lasciati soli; ma non tanto noi istituzioni!

Sono stati lasciati soli i cittadini che hanno visto le loro abitazioni sommerse nel fango, tutte le popolazioni colpite, gli imprenditori le cui aziende in alcuni casi sono andate distrutte… pensiamo al settore ortofrutticolo tanto per citare uno dei più colpiti; sono stati lasciato soli gli amministratori di quei territori, a dover fronteggiare una cosa molto più grande di loro e assolutamente fuori portata per i loro mezzi e le loro risorse.

Vi do qualche numero perché forse non è sempre chiaro ciò di cui stiamo parlando.

La situazione iniziale, poi migliorata ma ancora critica ha visto:

  • 486, di cui 72 minori, le persone accolte in strutture messe a disposizione dai Comuni o in alberghi
  • 760 strade comunali e provinciali chiuse alla circolazione
  • 105 le frane segnalate
  • 890 gli edifici coinvolti
  • Sulla base della ricognizione inviata al Dipartimento nazionale di Protezione civile, i primi lavori urgenti ammontano a 1,9 miliardi di euro
  • Per quanto riguarda i privati la prima stima dei danni su un numero di edifici stimati in 302ammonta a 2,2 milioni
  • 1 miliardo di danni alle imprese
  • 1 miliardo di danni all’agricoltura

Noi come regione non ce ne siamo stati con le man in mano e abbiamo fatto ciò che abbiamo potuto. A giugno la regione ha aperto la procedura per l’erogazione di un contributo di 3mila euro (un acconto che potrà arrivare a un saldo di 5mila euro) per chi ha avuto la dimora principale, abituale e continuativa in un’unità abitativa allagata o direttamente interessata da movimenti franosi o smottamenti e quindi inutilizzabile.

Non, quindi, il risarcimento completo dei danni, ma il contributo concorre alle prime spese necessarie al ripristino della funzionalità degli immobili ad uso abitativo.

Questi soldi, circa 8 milioni di euro, sono stati erogati ai primi di luglio a 2.700 cittadini.

Chiaro che parliamo di un palliativo, ma quello che abbiamo potuto fare lo abbiamo fatto immediatamente, così come altre misure di carattere più fiscale e normativo. Solo per fare qualche esempio:

– esenzione dal bollo auto per chi ha avuto auto distrutta

– bando per sistemazione centri di aggregazione giovanili

– norma per garantire sulle borse di studio universitarie i ragazzi che a causa dell’alluvione non hanno potuto raggiungere livelli minimi di merito.

– l’ultima misura, proprio di qualche giorno fa, riguarda l’accesso al credito a tasso zero per piccole e medie imprese e professionisti dei territori colpiti dall’alluvione. Per disporre della liquidità necessaria a far ripartire l’attività, con l’acquisto delle scorte e delle attrezzature danneggiate o ripristinando le parti di immobili lesionate. In attesa del pieno risarcimento dei danni da parte dello Stato o delle assicurazioni. Gli interessi saranno infatti integralmente abbattuti dalla Regione Emilia-Romagna attraverso lo stanziamento di fondi propri per 2,7 milioni di euro e l’intesa con i Consorzi fidi riferiti ai diversi comparti produttivi.

Dovremo decidere come impiegare i 50 milioni di euro di donazioni private, quelle fatte dai cittadini per i vari canali.

Ma prima volevamo capire qualcosa di più sulle risorse nazionali.

Qui ahimè tocchiamo un tasto dolente perché nulla è arrivato in termini di indennizzi a famiglie e imprese colpite: certo, i due Decreti adottati dal Governo hanno definito una serie di misure che però, lo si chieda ai cittadini, in questo momento non risultano funzionare, né per il ritorno alla normalità delle famiglie, né per la ripartenza positiva delle imprese. Così come nessuno disconosce il valore di quanto fatto per attivare gli ammortizzatori sociali o l’accesso al credito di una parte, sia pur ristrettissima, di aziende, così come per quelle dell’export;

ma ribadisco quanto i sindaci, le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali stanno dicendo: la stragrande maggioranza delle imprese ad oggi non solo non ha ricevuto un euro di indennizzo, ma neppure sa come approntare le perizie necessarie per ottenere in futuro il pieno risarcimento dei danni. E non sapere ancora, dopo tre mesi, come richiedere i rimborsi è semplicemente incredibile.

Le risorse stanziate per la ricostruzione privata sono esigue, anzi, pressoché trascurabili.

Quanto alla ricostruzione pubblica ritengo positivo lo stanziamento delle prime risorse per la ricostruzione (era ora dopo tanto tempo!) sia per le somme urgenze realizzate che per le opere urgenti che saranno validate già la prossima settimana. Le comunità ci chiedono che tutte le opere di ripristino siano realizzate adesso, per mettere il territorio al riparo in vista dell’autunno e dell’inverno: non possiamo permetterci che anche solo un nuovo fenomeno ordinario di maltempo in autunno produca danni straordinari; tutti i danni alle infrastrutture idrauliche devono essere riparati e i detriti rimossi. Al tempo stesso famiglie e imprese ci chiedono chiarezza e certezza di tutti i rimborsi: sono queste le voci che raccogliamo girando ogni giorno nelle province colpite e parlando con chi ha perso molto o in alcuni casi tutto.

Al momento per cittadini e imprese ci sono 270 milioni, circa un decimo delle risorse necessarie. La prima cosa da fare è allora sbloccare le risorse stanziate: se rimangono nei ministeri e non vengono messe immediatamente a disposizione del Commissario – ad esempio quelle degli ammortizzatori sociali e quelle del fondo per le imprese a forte vocazione dell’export – rischiano di andare perdute. Parliamo di oltre un miliardo di euro che sarebbe già a disposizione.

Questo non sarebbe accettabile.

 Bisognerebbe poi fare un ragionamento, ma non è questa la sede, sul tema più generale sul fatto che l’Italia è sempre più soggetta a eventi climatici estremi.

Leggevo i dati diffusi da Legambiente relativi alla mappa del rischio climatico, nell’ambito dell’Osservatorio Cittàclima: da gennaio a luglio di quest’anno sono stati registrati 132 eventi climatici estremi, il numero più alto della media annuale dell’ultimo decennio. Deve preoccupare a mio avviso anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a oggi nella nostra penisola si sono verificati 1.318 eventi estremi. Gli impatti più rilevanti si sono registrati in 710 comuni italiani.

Questi eventi, accaduti nell’arco di pochi giorni, dimostrano che i fenomeni dell’atmosfera stanno diventando sempre più intensi e violenti a causa del riscaldamento globale.

Noi su questo non possiamo più stare fermi.

La regione da parte sua col Patto per il lavoro e per il clima, che è fondamentalmente un progetto di rilancio e sviluppo sostenibile dell’Emilia-Romagna, approvato nel 2020 a inizio legislatura e sottoscritto  oltre che dalla regione anche da tantissime organizzazioni regionali (sindacati, categorie economiche,  università, enti locali, ecc ecc) ha in mente un piano di lavoro a medio lungo termine che assume come proprio orizzonte il 2030, indispensabile per impostare lo sviluppo del territorio su nuove basi e allineare il percorso dell’Emilia-Romagna a quelli previsti dall’Agenda 2030, dall’Accordo di Parigi, dall’Unione Europea per la riduzione delle emissioni climalteranti almeno del 55% entro il 2030, nonché dalla successiva programmazione dei fondi europei 2021-2027 e dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Quindi la politica della regione su questo tema è chiara e netta.

Poi bisognerebbe parlare di Europa,  PNRR e tanto altro.

Non lo facciamo ora ma sicuramente ne avremo occasione.

A Dovadola con i volontari che hanno operato in occasione dell’alluvione

I volontari sono il meglio che i nostri territori hanno potuto esprimere durante l’emergenza dello scorso maggio: grazie a tutte e tutti per il lavoro enorme che avete svolto e che continuate a svolgere.
Grazie anche al Dipartimento Protezione Civile della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Dovadola. Ieri sera sono stata con la vicepresidente della Regione Irene Priolo e il sindaco Francesco Tassinari proprio a #Dovadola per festeggiare una serata insieme e per esprimere tutta la nostra gratitudine e presenza a queste persone incredibili!